Cia-Agricoltori: “Positivo andamento prodotti alimentari”
All’interno del dato negativo dell’export lucano nei primi sei mesi dell’anno, che secondo il report dell’Istat è pari a meno 19,5 per cento, c’è l’andamento positivo delle esportazioni dei prodotti alimentari “made in Basilicata” che raggiunge il più 35,6 per cento solo in piccola parte ridimensionato dal meno 5 per cento dei prodotti agricoli non trasformati.
A sottolinearlo è la Cia-Agricoltori Basilicata evidenziando che ancora una volta emerge come le auto prodotte dallo stabilimento Fca di Melfi e gli idrocarburi estratti in Val d’Agri risentono di problemi di vario genere ed insieme al comparto manifatturiero determinano il calo dell’export lucano ad eccezione delle produzioni alimentari nonostante le note carenze infrastrutturali.
La Basilicata e le altre regioni del Mezzogiorno, pur rappresentando grandi bacini di produzione agroalimentare – sostiene la Cia – non spiccano tra le regioni top exporter e questo anche a causa dell’orografia che caratterizza i traffici commerciali del territorio; l’export agroalimentare del Meridione, infatti, è “geograficamente” concentrato nei mercati di prossimità e raggiunge solo in minima parte i mercati più distanti.
Anche per questo motivo l’export agroalimentare delle regioni del Mezzogiorno, seppur in aumento nell’ultimo decennio, è cresciuto ad un tasso inferiore rispetto a quello delle regioni del Nord: nel decennio 2008-2018, infatti, a fronte di una crescita dell’export delle regioni settentrionali pari al 62% circa, quello delle regioni meridionali è aumentato ‘solo’ del 46%, arrivando a superare di poco i 7 miliardi di euro di export nel 2018.
Come abbiamo sostenuto nel recente evento di Benevento per presentare il nostro Progetto “Il Paese che vogliamo” – è scritto nella nota – è necessario allargare le relazioni classiche di sistema, che finora hanno regolato il funzionamento delle filiere agroalimentari, ad ambiti ancora poco esplorati (artigianato, commercio, logistica, turismo, consumatori, enti locali) per dare origine a vere e proprie “reti d’impresa territoriali” e, al loro interno, favorire processi di innovazione sostenibile, anche sociale.
L’obiettivo che si vuole raggiungere trova ragione in un approfondimento che, partendo dalle vocazioni che caratterizzano l’assetto economico locale, vada oltre le relazioni “classiche” di sistema caratterizzanti il funzionamento delle filiere agroalimentari.
Fondamentali diventano le dinamiche che hanno come protagonisti ambiti non sempre esplorati all’interno dei percorsi di sviluppo territoriale riferibili al settore agroalimentare.
Agricoltori, artigiani, rappresentanti del commercio, della logistica e del turismo, consumatori, enti locali, Università, dovranno essere inseriti in una progettazione di ampio respiro per dare origine a vere e proprie “reti d’impresa territoriali” e, al loro interno, favorire processi d’innovazione sostenibile, anche sociale.
Il punto di partenza di tale percorso, potrà esser fatto coincidere con alcune delle filiere “tipiche” del territorio.
Su questo – sottolinea la Cia – non partiamo da zero ma da filiere già consolidate e ben inserite nelle dinamiche socio-economiche e per le quali si vogliono individuare nuove opportunità di sviluppo sia quelle che, scontando un deficit di aggregazione, hanno bisogno di fare economie e di un generale efficientamento anche al fine di assicurare una redditività maggiore ai produttori della materia prima agricola.