Contro il coronavirus serve solidarietà, non la caccia all’untore
«Quando questa maledetta epidemia finirà, non è da escludere che ci sia chi non vorrà tornare alla sua vita precedente.
Chi, potendo, lascerà un posto di lavoro che per anni lo ha soffocato e oppresso.
Chi deciderà di abbandonare la famiglia, di dire addio al coniuge o al partner.
Di mettere al mondo un figlio o di non volere figli. Di fare coming out.
Ci sarà chi comincerà a credere in Dio e chi smetterà di credere in lui».
Può cambiare tutto o nulla. Ma quello che ho notato, con grande disappunto, è che la cattiveria, la superficialità, l’ignoranza hanno rappresentato un virus nel virus.
Un nemico da combattere. Appena ci dicono che qualcuno è stato contagiato dobbiamo subito sapere chi è.
La foto gira vorticosamente sui social e su whatsapp. Insieme a decine di messaggi audio in cui ci spiegano come il nuovo untore può uccidere centinaia di persone.
Questo per creare allarmismi inutili, aumentare la paura e mettere in crisi chi è in prima linea.
Bill Gates, che con la sua Fondazione sta finanziando la ricerca per il vaccino, ha affermato in un incontro di cinque anni fa: «La prossima guerra che ci distruggerà non sarà fatta di armi ma di batteri.
Spendiamo una fortuna in deterrenza nucleare, e così poco nella prevenzione contro una pandemia, eppure un virus oggi sconosciuto potrebbe uccidere nei prossimi anni milioni di persone e causare una perdita finanziaria di 3.000 miliardi in tutto il mondo».
E poi aggiungerei c’è l’altra guerra, quella delle cattiverie , dell’ignoranza e delle fake su whasapp e Facebook.
Tanto per gradire.
R.P