Spoleto Festival, Dianne Reeves trascina Piazza Duomo
Concerto coinvolgente, unica tappa italiana dell'artista jazz
”Do you like my band?” chiede dal palco, quando oramai l’atmosfera è calda e il pubblico la segue entusiasta, battendo le mani ritmicamente o ripetendo ritornelli e suoni che Dianne Reeves propone loro.
E la risposta sono ”yes” e fischi e appalusi per John Beasley al pianoforte, Itaiguara Brandao al basso, Terron Gully alla batteria e soprattutto lo storico collaboratore della cantante, il chitarrista Romero Lubambo, brasiliano col suo strumento classico suonato senza plettro in modo virtuosistico nel gioco armonico dei ritmi.
La Reeves sale sul palco in Piazza Duomo e si unisce ai suoi musicisti entrando sui loro suoni con una serie di vocalizzi, di giochi sonori diversi, salendo e scendendo come a saggiare l’intero arco delle sue possibilità vocali.
Per un momento sembra mettersi indirettaemnte in competizione con Barbara Hannigan che, nello stesso momento, al Teatro romano, è anche lei impegnata in vocalizzi mozzafiato, improvvisi cambi di registro vocale, sussurri, squittii, acuti, nel gioco complesso e ardito di sonorità del ciclo di canzoni composto per lei dall’americano John Zorn e ispirato al poema epico finlandese Kalevala. Sono le sfide, i confronti, le possibilità di scoperta che offre il Festival di Spoleto.
La Reeves, vestita di bianco, dialoga, improvvisa variazioni secondo il suo stile libero, gioca con testi e spartiti dei brani e, se durante ”New day” riesce a affermare come fosse un verso della canzone ”I am so glad to see you tonight”, in un altro momento improvvisa un dialogo onomatopeico col contrabbasso di Brandao riproducendone le sonorità con altre linee melodiche con un bravura che strappa l’applauso.
Il suo jazz è certo legato al mainstream della grande tradizione classica, ma affrontato in modo moderno e personale con un suo cantare quasi confidenziale, suadente e insinuante pur essendo lontano da ogni sussurro, mentre quando passa al mondo musicale brasiliano, in duetto con Lubambo, sia dando voce a musiche senza parole, sia affrontando quella musica o le canzoni dell’amato Carlos Jobim una sua particolare interpretazione che ha inevitabilmente echi del jazz (”La musica è musica e il jazz è un abito che le puoi sempre mettere addosso”, dice) ecco che il ritmo pian pano prende il sopravvento e mentre canta comincia a farlo con tutto il corpo, a ballare.
E’ un artista, almeno sul palco, solare e trascinante, dolce e sorridente e alla fine prende il suo cellulare e comincia a filmare il pubblico. Gli applausi durano dieci minuti dopo che se ne è andata, costringendola a tornare con un ultima canzone latinoamericana e ringraziando per il calore, per il festival, per l’arte, per il cibo, per il vino.
Una grande cantante quindi, bella donna che oggi va verso i 70 anni portati divinamente, e ha alle spalle una lunga storia, vissuta sperimentando e misurandosi su varie strade e situazioni come dimostrano i circa venti dischi da lei incisi nel tempo, sino ad arrivare a questo suo personale sentire la musica in modo creativo, così da incidere dischi accompagnata al piano da Daniel Barenboim, poi con un’orchestra sinfonica inglese diretta da John Mauceri, senza contare la sua esibizione sul palco dei Berliner Philharmoniker, spiazzati dai suoi giochi vocali, dalle variazioni, dalle note tenute a lungo ma, come ha sempre notato la critica e un musicologo quale Helmut Failoni, senza mai perdere, specie in concerto, la scansione in 4/4 che finisce per coinvolgere i suoi ascoltatori, che a Spoleto hanno avuto la fortuna di assistere all’unica tappa italiana del tour internazionale della Reeves.
ANSA