Perché il prezzo della pasta sale anche se quello del grano scende?
Una famiglia media di quattro persone consuma 8 chili di pasta al mese. Un ingrediente abituale per noi italiani che da qualche mese comincia a costare un po’ troppo.
O almeno, che ha vissuto aumenti per molti versi – stando alle accuse delle associazioni dei consumatori – ingiustificati.
C’è chi parla del 37% di rincari medi da giugno 2021 ad aprile 2023, chi – come il Ministro per le Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso – lancia l’allarme per un aumento in marzo del 17,5% sull’anno precedente.
Sta di fatto che il Governo è in allarme e ha chiesto a Mister Prezzi, alias Benedetto Mineo, Garante per la Sorveglianza dei Prezzi, di convocare la Commissione di allerta rapida per fare il punto. Appuntamento al prossimo 11 maggio ore 14.30.
Divario dei costi tra materie prime e prodotti
Del resto, si tratterebbe di aumenti abbastanza inspiegabili in uno scenario di crollo dei prezzi del grano duro (oltre che dell’energia elettrica) che le associazioni degli agricoltori avevano già denunciato.
“Il prezzo del grano duro continua a sprofondare, con un crollo delle quotazioni che si aggira sui 380 euro a tonnellata, mentre nello stesso periodo del 2022 era di 550 euro/ton” ha denunciato Cristiano Fini, presidente di Cia-Agricoltori italiani “Così i margini per le aziende agricole sono troppo esigui”.
Una denuncia che lancia un allarme preciso: la produzione agricola di grano duro, già messa a dura prova da un biennio avido di precipitazioni, potrebbe crollare mettendo a rischio un prodotto che è alla base di alcune eccellenze del Made in Italy agroalimentare come la pasta.
I prezzi della pasta nelle diverse città
A lanciare l’allarme sul prezzo della pasta, oltre al solito Codacons, anche l’Assoutenti che ha diffuso i dati rilevati nelle diverse città italiane in cui Ancora avrebbe il prezzo più alto in Italia (2,44 euro/chilo), mentre Cosenza il più basso (1,48 euro/kg).
A Siena, invece, si registra l’incremento percentuale maggiore nel prezzo (da una media di 1,37 euro/al kg dello scorso anno ai 2,17 euro di oggi, con un aumento del 58,4%). Alla fine, solo in 12 province su 76 il prezzo al pubblico dei vari formati si trova sotto ai 2 euro per chilo. Una forbice che divide la Penisola larga quasi un euro tra prezzo massimo e minimo: tra Ancona e Cosenza la differenza di prezzo è del 64%.
Confrontando i prezzi di marzo 2022 con quelli di marzo 2023, la Toscana è la regione con gli aumenti percentuali maggiori. Oltre a Siena, incrementi superiori al 50% anche a Firenze (52,8%) e Pistoia (51,8%).
Ad Alessandria variazioni annue più contenute (+4,6%) mentre a Sassari e Napoli i prezzi salgono del 9,9% in un anno. Il prezzo medio della pasta in Italia è attualmente pari a circa 2,13 euro al kg, con un aumento medio del +25,3% rispetto allo scorso anno con un prezzo medio a 1,70 euro/kg.
Agricoltori in rivolta
Come Cia, anche Coldiretti lancia l’sos sul prezzo del grano che sarebbe inferiore oggi del 30% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: 36 centesimi per un chilo.
Un sos che è anche una denuncia forte a fronte degli aumenti, invece, del prezzo della pasta aumentato ben oltre il doppio rispetto all’inflazione.
Una dicotomia che indica una crisi seria, sottolineata anche da un altro dato: come denuncia il presidente Cia, il Masaf (Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste) stima che per quest’anno le superfici agricole coltivate a grano duro sono in flessione: 1,22 milioni ettari con una riduzione di circa il 2% rispetto all’anno precedente.
Il grano costa troppo poco: si rischia l’abbandono delle campagne
Il problema, dunque, da una parte è l’aumento del prezzo della pasta dall’altro è il prezzo in picchiata del grano duro. E se in conseguenza di ciò andrebbe abbassato il prezzo della pasta di grano duro, allo stesso tempo se non si paga di più il grano ai produttori il rischio è che non ci sia più alcuna redditività nel produrlo in Italia, con il conseguente abbandono della campagne.
“Il grano duro è la prima coltivazione a superficie del Paese con circa un 1,2 mln di ettari e circa 200mila aziende agricole dedicate” spiega il Presidente di Cia, Cristiano Fini “negli ultimi anni sono aumentati molto i costi di produzione per gli agricoltori tra sementi, fertilizzanti, gasolio. Se un ettaro di grano duro ha un costo di produzione che si aggira sui 1.400 euro ad ettaro e i ricavi – ai prezzi attuali – sono pari a 1.100 euro, non possiamo chiedere agli agricoltori di lavorare in perdita.
È, dunque, forte il rischio che molti abbandonino presto l’attività cerealicola, che in molti areali del centro-sud non ha alternative colturali, con il rischio dell’abbandono delle campagne e di gravi ripercussioni dal punto di vista economico, sociale, ambientale e paesaggistico in molte zone di Italia.
Il crollo del grano duro (dai circa 58 a 38 euro per quintale) avviene proprio nel momento in cui il prezzo della pasta è in forte aumento. Cia chiede di vigilare per evitare speculazioni con strumenti che garantiscano maggiore trasparenza dei prezzi, sostegno alla filiera grano duro – pasta 100% Made in Italy e maggiori controlli sui parametri sanitari e di qualità cui deve rispondere il grano duro importato”.