CULTURA E EVENTI

Adelaide di Borgogna, al Rof il teatro nel teatro

Successo a Pesaro per regia di Bernard, i cantanti e il maestro

PESARO – Il sipario si alza su un palcoscenico nudo con camerini a vista e altri ambienti di servizio, attrezzeria e parti di scenografia.

A poco a poco arrivano coristi e comparse, artisti e tecnici per preparare Adelaide di Borgogna al Rossini Opera Festival 2023.

Ma durante l’allestimento dello spettacolo, arte e vita finiranno per mescolarsi, tra amori, tradimenti, piccoli (e grandi) incidenti di percorso.

È il gioco del teatro nel teatro con cui il regista Arnaud Bernard ha presentato a Pesaro proprio Adelaide, opera del Rossini serio, di rara esecuzione.

Rappresentata per la prima volta a Roma nel 1817 al Teatro Argentina, non ebbe un grande successo e girò poco: un paio di anni dopo il compositore pesarese ne riutilizzò una parte in Eduardo e Cristina (1819), che ha inaugurato il Rof. Poche le riprese in epoca moderna, tra cui si conta una produzione del festival rossiniano nel 2011.

La storia del libretto, oggi attribuito a Giovanni Schmidt, è una fiaba cavalleresca basata su un episodio di storia medievale risalente al 950: Adelaide di Borgogna (soprano), vedova del re d’Italia Lotario, è tenuta prigioniera dall’usurpatore Berengario (basso), che vuole imporle di sposare il figlio Adelberto (tenore).

A salvarla e sposarla sarà l’imperatore Ottone di Germania (mezzosoprano). Sul palcoscenico il pubblico assiste alla preparazione e alle prove, conosce i segreti del backstage e della macchina teatrale con i tecnici a vista che montano e smontano le scene, usano gli effetti speciali per fare il fuoco o una pioggia di petali, con il pianoforte in scena ad accompagnare i recitativi, i cantanti che ripassano gli spartiti, il regista e gli addetti alla produzione che debbono mettere ordine tra i coristi e guidare le comparse, tra cui un gruppo di bambini.

“È un omaggio al nostro lavoro” ha ammesso Bernard. In mezzo c’è la vita ‘vera’: il tenore tradisce il soprano e le loro liti portano scompiglio nelle prove, il basso porta ogni giorno una ragazza diversa, nasce un sentimento tra soprano e mezzosoprano che si innamorano in scena e fuori.

E, come in ogni luogo di lavoro, ci si incontra davanti al distributore automatico di bibite e snack. Solo alla fine gli spettatori vedono per pochi minuti l’allestimento completo.

E, con una botta di ironia in un momento in cui ci sono direttori che dirigono bendati per protestare contro regie innovative, si tratta di una messa in scena tradizionalissima: belle scene dipinte all’antica (“un’arte che purtroppo si sta perdendo” secondo il regista Bernard), costumi medioevali, il coro impalato ai lati del palcoscenico.

Un gioco scenico raffinatissimo (con qualche cedimento alla comicità e alla caricatura) grazie anche alle scene di Alessandro Camera, i costumi di Maria Carla Ricotti e le luci di Fiammetta Baldiserri, che il pubblico ha apprezzato con applausi e ovazioni a scena aperta e al termine.

Bravissimi i cantanti, alle prese con pagine di vocalità pirotecnica e impegnati a interpretare un doppio ruolo, con senso dell’umorismo e un pizzico di autocritica, dalle camicie sgargianti alle pose drammatiche: Olga Peretyatko (Adelaide), Pearduhi Abrahamyan (nel ruolo en travesti di Ottone), Riccardo Fassi (Berengario), René Barbera (Adelberto), e inoltre Paola Leoci (Eurice), Valery Makarov (Iroldo) e Antonio Mandrillo (Ernesto).

Ma grandi consensi sono andati anche alla direzione di Francesco Lanzillotta alla testa dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e del Coro del Teatro Ventidio Basso, preparato da Giovanni Farina, anche lui in scena in abiti borghesi, nel ruolo di se stesso.

ANSA

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