Essere o non essere Intellettuali nell’era social
Bauman e Bongiovanni, tra storia e riflessione. Coccia 'amanti'
ZYGMUNT BAUMAN E BRUNO BONGIOVANNI, ‘INTELLETTUALI’ (Treccani Libri pag.138, Euro 10,00).
”Si può dire che il vero intellettuale oggi è il demone: la soggettività capace di circolare ovunque e di fare del proprio io l’esperienza di un viaggio attraverso i corpi della terra”, scrive Emanuele Coccia nell’introduzione a quel bel volume d’intelligenza tripartito che è ”Intellettuali”, della collana di alta sintesi ”Voci” di Treccani Libri.
Quindi, sintetizza Coccia oggi bisogna chiamare ”amanti” quelli che chiamavamo intellettuali e questo ”significa cambiare le aspettative nei loro confronti.
Non chiediamo un metodo a chi ama: l’amore non ha istruzioni, è un’ostinazione che inventa ogni volta un nuovo espediente per restare vicino all’oggetto amato.
Dalle persone che amano non ci aspettiamo coerenza e nemmeno esemplarità: le persone che amano non predicano la giustizia, ne’ cercano di mostrarsi moralmente superiori agli altri. Il dono che non smettono mai di fare alla società è semplicemente il fuoco della loro passione per il mondo.
Questo mondo”. Così si trasforma un concetto, anzi un ruolo, centrale nella storia della cultura, della società e della politica dell’ultimo secolo e più.
Era infatti il 13 gennaio 1898 quando in un articolo su L’Aurore, in una lettera aperta Emile Zolà protestava per l’ingiusto processo a Dreyfus, protesta a cui nelle settimane successive si unirono ”protestations” firmate da personaggi di rilievo che il 23 gennaio l’editorialista Georges Clemenceau definiva appunto ”intellettuali”, riassumendo il senso di una nuova forza.
”Non è forse un segnale, tutti questi intellettuali venuti da ogni angolo, che si raccolgono attorno ad un’idea?”.
Ce lo ricorda Zygmunt Bauman nel suo ”Intellettuali”, che ne racconta la parabola fino alla fine del Novecento. ”Quando la notorietà – scrive – anzichè la fama diventa il criterio dell’influenza pubblica, gli intellettuali si trovano in competizione con i campioni sportivi, le pop stars, i vincitori di lotterie, i terroristi e i serial killers”.
Ed aggiungerei, gli o le influencer. ”In questa competizione non hanno molte speranze di vincere, ma per gareggiare devono giocare il gioco della notorietà seguendone le regole ossia adeguando la propria attività al principio di ‘massimo impatto ed obsolescenza istantanea”’.
In sostanza, spiega Bauman, ”la giustezza e la verità delle idee sono sempre più irrilevanti come richiamo nei confronti dell’attenzione pubblica: ciò che conta sono le loro ripercussioni, la quantità di tempo e di spazio che a esse dedicano i media, e ciò dipende principalmente dal loro ‘valore di intrattenimento”.
Quindi, probabilmente, finite ideologie ed utopie, non c’è più posto per gli intellettuali? È auspicabile, tira le conclusioni Bruno Bongiovanni, ”che non ci si arrenda davanti all’eterogenità tumultuosa del reale e all’esiziale trionfo ‘naturalistico’ e talvolta ‘etnicistico’ delle differenze.
L’universale ha forse smarrito il veicolo privilegiato, e anche elitario, che lo imponeva all’attenzione del mondo”. Insomma la speranza è una resurrezione, certo però in forme diverse, nelle quali forse rinascere.