60. Esposizione Internazionale d’Arte – LA BIENNALE DI VENEZIA
Evento Collaterale presso la FONDAZIONE BEVILACQUA LA MASA
Tra gli eventi collaterali ufficiali della 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, la Mostra personale e progetto di ricerca dell’artista messicana Betsabeé Romero, dal titolo The endless Spiral, è organizzata dal Museum of Latin American Art (MOLAA) di Long Beach CA e curata da Gabriela Urtiaga, storica dell’arte e ricercatrice argentina, Chief curator del museo stesso.
L’esposizione si propone di esplorare il percorso artistico di Betsabeé Romero attraverso opere commissionate e nuove installazioni, ed è il risultato della lunga relazione tra l’artista e il Museo Molaa. Il suo lavoro infatti fa parte della collezione permanente del Museo e, al termine della mostra come Evento Collaterale della 60.
Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, sarà allestita nel 2025 al MOLAA a Long Beach, Califonia USA.
Le linee e i concetti curatoriali si diramano lungo le sale degli spazi espositivi della Fondazione Bevilacqua La Masa, con l’implicita premessa di indagare il tema “Stranieri ovunque” titolo di questa 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia.
La mostra presenta diverse sezioni che creano un approccio differente a questo cruciale argomento, facendo emergere idee e concetti dal corpus delle opere evidenziando dualità, tensioni, conflitti e fratture nella nostra cultura e storia.
L’artista ha sviluppato inizialmente una forte narrativa ponendo l’accento sull’esperienza di essere straniero nel mondo. Dal punto di vista dei molti a cui manca un territorio dove trovare rifugio e sopravvivere.
Parla di chi nella fuga si scontra con confini politici ed economici, sempre estranei ed escludenti; dallo specchio che non ci riconosce, che dubita, osserva, ignora e distorce. Da specchi che non includono identità e generi, al di là delle classificazioni e discriminazioni obsolete.
Dalle case in cui prevale la violenza, esercitata da coloro che ne hanno raccolto il testimone, come un pugnale che segna arbitrariamente confini che definiscono il loro potere di piccoli patriarchi, a scapito della vita delle donne e dei bambini, vulnerabili e indifesi.
Dalle comunità più sagge e coerenti che hanno dovuto nascondersi per difendere i propri luoghi sacri e salvare il mondo dalla barbarie, a cui ha condotto la logica dell’avidità e del consumo eccessivo.
La mostra è divisa in sei sezioni. L’esperienza estetica inizia con l’installazione “Segni per guidarci verso l’esilio”, che mette in discussione il concetto e le esperienze di migrazione avvenute prima, durante e dopo il nostro tempo, ed evidenzia come una comunità possa contribuire a smantellare l’orrore e le ingiustizie.
Attraverso l’opera “Identità”, alcuni specchi concavi di sicurezza, che rivestiranno completamente la sala, osserveranno e distorceranno la nostra immagine.
Specchi mappati e truccati, con linee dure e confinanti, specchi rotti in un universo rotto. “Barbed Borders” esplora la sofferenza che causa i confini. Sono linee imposte che si oppongono alla necessità, alla sopravvivenza e alla comprensione, cicatrici che sanguinano il mondo.
Linee che ci inseguono per tutta la vita, inscritte sul corpo, incise nei piedi, nelle impronte che lasciamo.
Linee crudeli, spigoli malati e mortali. L’installazione “Totem rotolanti di gomma e oro” introduce il visitatore alla mobilità e nei totem urbani su ruote, ruote incise a mano che un tempo erano strumenti di memoria, timbri cilindrici che hanno impresso la storia in tutte le culture dell’umanità.
Le ruote occidentali hanno cambiato l’andamento della corsa, dando priorità alla velocità e all’oblio per continuare a travolgere.
Questi pneumatici riciclati rivendicano la direzione opposta alla modernità; invece di servire sulle autostrade e ai veicoli del potere, si muovono all’indietro, azionati manualmente per ricordare e rendere visibile ciò che la velocità aveva lasciato dietro di sé, per non vederlo più.
Un totem mobile dell’iconografia indigena di tutte le Americhe, ricami e ceramiche, stele e oggetti in pietra provenienti da diverse regioni e culture. “Nel punto di fuga delle ombre” l’artista riflette sulla cultura come casa che portiamo all’interno di un rifugio sopravvissuta all’ombra di tutti i poteri.
Infine, “Feathers of a spiral sunrise”, e un viaggio attraverso una spirale senza fine, la saggezza che semina e germina in cicli, un compendio rotante di voli collettivi e accattivanti.
Lumaca dalle ali circolari e labirintiche, una cresta orizzontale e infinita, veste architettonica e rituale, uno spazio dove tutti possono entrare e abitare.
La mostra è realizzata con il sostegno di William S. & Michelle Ciccarelli Lerach e Santiago García Galván.
Sarà inoltre accompagnata da una pubblicazione e una brochure disponibile per i visitatori.
Domenica 21 aprile alle ore 14 conversazione aperta al pubblico tra Betsabeé Romero e la curatrice Gabriela Urtiaga, a seguire alle ore 16 una loro visita guidata.
Betsabeé Romero è un’artista che ha avuto l’opportunità di vivere e produrre il suo lavoro in paesi, culture e contesti diversi.
Gabriela Urtiaga scrive di lei «Betsabeé è uno spirito nomade sempre alla ricerca di nuove esperienze e prospettive, con un focus sull’esame di diversi temi essenziali e urgenti per il pubblico internazionale. Lavora con una forte consapevolezza di questioni come la migrazione, i ruoli di genere, le tradizioni culturali, la religiosità, il meticciato e la memoria individuale e collettiva.
Il suo metodo di trasgredire i limiti delle diverse categorie stabilite, di rendere visibile l’ingiustizia nel mondo come punto di esame e invito all’azione, viene ridefinito come un impegno comunitario attraverso un dialogo tra arte, giustizia sociale e patrimonio, che interagiscono per il bene comune.
L’artista ha sviluppato una forte narrativa iniziale che si concentra sull’esperienza di essere straniero nel mondo, e dal punto di vista di molti a cui manca il territorio per cercare rifugio e sopravvivere».