CRONACA

La strage di Capaci, la cronaca di quel sabato maledetto

Il racconto del cronista dell'ANSA che arrivò per primo sul posto

Ventitré maggio 1992.

Una giornata afosa a Palermo, preannuncio d’estate. Tutti ricordano quel sabato maledetto e cosa stavano facendo. Io ero di turno nella redazione insieme al collega Franco Viviano.

Giornata tranquilla, poche e di routine le notizie da Palermo: il 45/esimo anniversario della prima seduta dell’Assemblea Regionale Siciliana; l’assalto di una banda di rapinatori all’abitazione di una coppia di coniugi.

Sulle reti ANSA scorrono invece da Roma le cronache politiche relative alle trattative tra i partiti per l’elezione del Capo dello Stato.

La notizia che avrebbe cambiato di colpo non solo la giornata ma anche la storia d’Italia si materializza alle 17.58, attraverso la radio collegata con le frequenze delle forze dell’ordine. Inizialmente si parla di un’esplosione, avvenuta forse nel cementificio di Isola delle Femmine, a due passi da Capaci.

Poi, con il passare dei minuti e l’arrivo delle prime volanti, le conversazioni diventano, via via, sempre più concitate. ”C’è stato un attentato. Ci sono morti e feriti, è un inferno…”.

A un certo punto la centrale operativa della Questura parla di una ”nota personalità” coinvolta.

Il nome di Giovanni Falcone non viene mai pronunciato, ma non ci vuole molto per capire che è  proprio lui la ”nota personalità” che si trova su un’ambulanza diretta verso l’ospedale. Io e Franco ci dividiamo i compiti: lui rimane in redazione per passare i primi flash d’agenzia, io corro in moto verso Capaci.

Ma l’ingresso dell’autostrada è chiuso al traffico per consentire il passaggio dei mezzi di soccorso e delle forze dell’ordine.

Bloccato in auto c’è anche il nostro fotografo Franco Lannino, lo carico sulla moto e insieme cerchiamo di raggiungere Capaci dalla statale, che procede parallela all’autostrada. Superiamo lunghissime code di auto che intanto si sono formate.

Allo svincolo di Isola delle Femmine imbocchiamo una strada che costeggia l’A29, ci indirizzano gli elicotteri che volteggiano sopra di noi ed i lampeggianti delle auto delle forze dell’ordine. Raggiungiamo così la zona dell’agguato, saliamo a piedi su un terrapieno e ci ‘affacciamo’ dal bordo dell’autostrada.

Quello che si presenta all’improvviso è una scena che mi lascia senza fiato, non per la polvere che ancora si respira o per l’odore acre dell’esplosivo ma per lo sgomento.

Un tratto di autostrada non c’è più, ”cancellato” da 500 chili di tritolo piazzati in un cunicolo che hanno sventrato l’asfalto aprendo una voragine di alcune decine di metri. Ai bordi di questo ”cratere” si muovono come fantasmi gli investigatori.

Non ci sono ancora troupe televisive né altri giornalisti. Lannino comincia a scattare le prime immagini che poco dopo saranno trasmesse dall’ANSA su tutti i circuiti internazionali.

L’automobile che apriva il corteo blindato, una Fiat Croma marrone con tre agenti di scorta, investita in pieno dall’onda d’urto, è stata catapultata a un centinaio di metri di distanza.

I vigili del fuoco sono al lavoro con cesoie e fiamma ossidrica per estrarre i corpi dei tre uomini di scorta, ancora imprigionati tra le lamiere. La vettura su cui viaggiava Falcone, una Fiat Croma di colore bianco, appare invece come sospesa sull’orlo della voragine.

Il magistrato e la moglie, Francesca Morvillo, spireranno poco dopo in ospedale. Sul teatro dell’attentato cominciano intanto ad arrivare i responsabili degli uffici investigativi e giudiziari, molti dei quali erano alla cerimonia d’inaugurazione della Fiera del Mediterraneo.

Nessuno di loro ha la forza di dire una parola. Urlano di rabbia invece i colleghi degli agenti dilaniati dall’esplosione: ”Bastardi macellai…”. Un altro agente piange come un bambino davanti all’auto dove sono imprigionati i corpi dei suoi colleghi.

Tutto intorno al cratere dell’esplosione è un panorama di morte e devastazione: frammenti di asfalto e pezzi di lamiera delle automobili sono sparsi nel raggio di 500 metri. Il boato è stato udito a chilometri di distanza.

Un attentato spaventoso. Provo a dettare le prime notizie da Capaci ma è impossibile. I cellulari sono muti, così come il telefono fisso di una fabbrica vicina: l’esplosione ha tranciato le linee elettriche e telefoniche della zona.

Torno di corsa a Palermo in redazione e comincio scrivere il pezzo che non avrei mai voluto scrivere: “Per uccidere Giovanni Falcone è stata utilizzata una tecnica libanese…”.

ANSA

Pulsante per tornare all'inizio