CRONACA

Se vale la pena morire per un Selfie. Non è solo colpa dei social”

Un selfie cercando di immortalare alle proprie  spalle qualcosa di strano, suggestivo, adrenalinico, rischioso. Un’azione che i ragazzi mettono in pratica molto spesso, quotidianamente. Solo che a volte dietro quel desiderio di sfida, di superare le convenzioni, di rompere gli schemi si nasconde un pericolo. In alcuni casi il gioco si trasforma in tragedia. È proprio quello  che è accaduto   al 13enne calabrese che, nel tentativo di scattare una foto mentre dietro di lui ed ai suoi due amici passava il treno, è stato travolto morendo sul colpo. L’orrore è andato in scena alla stazione di Soverato, su un ponte di ferro senza illuminazione in cui i treni transitano ad alta velocità. Il ragazzo, insieme agli  amici, aveva lanciato la folle sfida: farsi il selfie proprio nel momento esatto del passaggio del convoglio. Per farlo, però, non è riuscito ad abbandonare in tempo i binari, venendo investito in pieno. Un caso, una fatalità, un dramma che difficilmente si può verificare con frequenza? Purtroppo no.

Quello tra il selfie e gli adolescenti è un rapporto quasi simbiotico. Ormai le nuove generazioni vivono con gli smartphone sempre in mano, nelle loro menti l’autoscatto più che una moda è una filosofia di vita. I social network non fanno che alimentarla.  Una  ricerca di Skuola.net sulla ‘Generazione Z’ il 60% dei teenager pubblica abitualmente un selfie; soprattutto quando è in gruppo. Instagram e Facebook gli album virtuali preferiti. Ed è proprio la doppia dimensione social-sociale che sgombera il campo a comportamenti estremi che, come a Soverato, possono sfociare in una strada senza ritorno.

Il desiderio di riconoscimento da parte del gruppo porta i ragazzi a tentare di superare i propri limiti, non facendogli valutare i rischi connessi ad un’azione estrema – dice Maura Manca, psicoterapeuta e presidente dell’Osservatorio Nazionale AdoleScienza – perché in quel momento l’adrenalina è superiore a qualsiasi istinto di autoconservazione. C’è un’impresa da portare a termine”. Una deriva di cui i social sono involontariamente tra i principlai responsabili: “la ricerca intenzionale della viralità, non importa se attraverso una video o una foto – continua la Manca – aggiunge l’elemento della popolarità. In passato gesti del genere venivano condivisi con una cerchia ristretta di amici. Oggi, la platea potenziale che potrebbe vedere le loro gesta (degli adolescenti) sul web li stimola a farlo più spesso, ad aumentare la posta in gioco.

Tra l’altro, proprio le stazioni  specie se in luoghi isolati – sembrano il terreno di caccia preferito dei ragazzi. “Non è un fenomeno di questa epoca – sottolinea Maura Manca – da tanti anni mi occupo di casi del genere. Cercare di farsi una foto con a pochi centimetri un treno in corsa soddisfa il desiderio di sensazioni forti che ogni ragazzo ricerca”. La psicoteraputa, riportando la sua esperienza professionale, racconta anche di storie in cui si mette in gioco la vita per soldi, scommettendo sulla buona riuscita dell’impresa. E il fatto, poi, di postarlo online non fa che attestare pubblicamente il proprio coraggio.

Ma non è solo colpa dei social network

Quasi sempre sono le logiche del branco ad avere la meglio sulla psiche. Difficile che un ragazzo faccia le stesse cose quando è da solo. “In adolescenza c’è un bisogno costante di omologazione, di sentirsi più forti ma in mezzo agli altri – sottolinea la psicoterapeuta – ed è una cosa che può anche starci, rientra nel normale percorso di costruzione della personalità”. Il gruppo prende il sopravvento, fa abbassare le difese, inibisce la paura; ma “le paure sono fondamentali per frenare le nostre derive; il senso del limite ci fa valutare le conseguenze immediate e quelle a lungo termine”. Variabili attraverso cui, di fronte a un ipotetico abisso, preferiamo sempre la vita.

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