CGIL BASILICATA SU QUOTA 100 E REDDITO DI CITTADINANZA
Una forte e capillare azione di mobilitazione sui territori su quota 100 e contrasto alla povertà.
È questo – si legge in una nota del sindacato – l’obiettivo della Cgil Basilicata che oggi ha fatto il punto della situazione in Basilicata nell’incontro che si è svolto a Potenza su previdenza e reddito di cittadinanza grazie ai contributi del coordinatore area mercato del lavoro Cgil nazionale Corrado Barrachetti, il responsabile previdenza pubblica per la confederazione Enzo Cigna e la responsabile povertà Giordana Pallone.
Al 6 giugno 2019 in Basilicata sono pervenute 18.036 domande per il reddito di cittadinanza, di cui 11.090 accolte e 5275 respinte. Secondo i dati Inps – prosegue la nota – sono pervenute 1.354 domande “quota 100”, di cui 474 nella provincia di Matera e 880 nella provincia di Potenza.
Di queste, 613 provengono dal privato e 741 dal pubblico. Per quanto riguarda gli operatori impiegati nella gestione delle domande di reddito di cittadinanza in totale in Basilicata si registrano 111 operatori (42 in provincia di Matera e 69 in provincia di Potenza), di cui 31 navigator (12 a Matera e 19 a Potenza).
“Dalla lettura del cosiddetto decretone sul reddito di cittadinanza – affermano il segretario generale Angelo Summa e Anna Russelli, della segreteria Cgil Basilicata – emerge, purtroppo, la conferma che il percorso delineato sulla attuazione della misura sia ricco di ostacoli e criticità che potrebbero finire per scaricarsi sui potenziali beneficiari.
L’aver messo assieme politiche per la povertà e politiche attive del lavoro è, per quanto ci riguarda, una scelta infelice. Si tratta, infatti, di due questioni diverse, tradizionalmente affrontate con strumenti diversi.
In Basilicata, inoltre – continuano Summa e Russelli – le questioni da affrontare riguardano anche la conciliazione della misura reddito di cittadinanza con le altre misure regionali di sostegno al reddito: il reddito minimo di inserimento e i tirocini di inserimento sociale, su cui da tempo abbiamo chiesto chiarezza al governo regionale, chiedendo anche un incontro formale anche alla luce della delibera di Giunta regionale, la 1011/2017, che sancisce il divieto di cumulo tra reddito minimo e altre misure di sostegno al reddito regionali o nazionali senza tuttavia alcun divieto esplicito, in tal senso, per i percettori di tirocini di inclusione sociale”.
Per quanto riguarda la cosiddetta “quota 100” (62 anni di età e 38 anni di contributi) prevista dalla legge di Bilancio per aver diritto alla pensione anticipata la misura a livello nazionale ha coinvolto 128mila persone, ben 162mila in meno rispetto alla platea di 290mila persone stimata dal governo. Dei 3,968 miliardi di euro stanziati dal governo per il 2019, di conseguenza, non saranno utilizzati 1,6 miliardi, che saliranno a 2,9 miliardi nel 2020 e a 2,6 miliardi nel 2021.
Aver scelto una quota 100 così rigida, con i paletti dei 62 anni di età e dei 38 di contributi, secondo la Cgil non risponde a fette importanti del mondo del lavoro, perché restringe a priori la platea degli aventi diritto.
Ad esempio, le donne – già fortemente penalizzate dalla legge Fornero, che ha spostato la pensione di vecchiaia da 60 a 67 anni – difficilmente riescono a raggiungere i 38 anni di contributi, svolgendo spesso due lavori, quello in produzione e quello di cure, tanto è vero che solo poche migliaia (una domanda su quattro è stata presentata da una donna), hanno utilizzato quota 100.
Per non parlare dei precari, dagli edili agli agricoli, del tutto fuori dai giochi, malgrado tantissimi di loro desiderino andare in pensione al più presto, facendo lavori faticosi e poco sopportabili, superata una certa età. Oltretutto, il 25% delle domande pervenute all’Inps (oltre 10.000) sono state respinte per gli errori commessi dagli aspiranti pensionati e pensionate.
Altro problema enorme è quello dei giovani, per i quali la Cgil ha proposto di creare una pensione contributiva di garanzia che permetta ai precari, che non hanno davanti a loro lunghe carriere lavorative, di ricevere in futuro un assegno dignitoso. Questione che non può essere risolta con la pensione di cittadinanza a 780 euro.
“Se si pensava a una misura del genere per superare la Fornero – concludono Summa e Russelli – è evidente che siamo di fronte a un totale fallimento.
È urgente una discussione su una riforma previdenziale seria che abbia il criterio della flessibilità fino in fondo, consentendo la libertà di scelta ai lavoratori, in un sistema economico in equilibrio.
Un sistema previdenziale universalistico, solidaristico e sostenibile che garantisca soprattutto i giovani attraverso una pensione di garanzia. Bisogna capire che il mondo del lavoro non è tutto uguale e quindi immaginare quota 100 senza fare una minima distinzione fra chi fa il muratore, chi fa l’impiegato, chi è precario, chi è donna, determina oggi delle platee profondamente diverse.
Vi è la necessità, e vi sono quindi anche le condizioni, per intervenire con altre misure, sulla base delle proposte contenute nella piattaforma che il sindacato ha presentato al governo”.