Cinghiali, Cia-Agricoltori: “E’ allarme sociale”
Un cinghiale ogni cinque abitanti. Sarebbero oltre 120 mila i cinghiali in Basilicata. Almeno secondo le previsioni dell’Osservatorio regionale degli habitat naturali, popolazioni faunistiche e biodiversità del dipartimento regionale all’Ambiente.
Ormai i casi di cinghiali che hanno raggiunto spiagge del Metapontino e centri abitati sono sempre più numerosi.
Sino al raduno in branchi di migliaia di capi di cinghiali nella diga vuota del Rendina siamo all”invasione e al pericolo peggiore perchè oltre la pubblica incolumità ci sono problemi igienico-sanitari con fenomeni di diffusione di malattie infettive. I primi ad essere allarmati in quanto subiscono i danni maggiori sono gli agricoltori.
Per questo motivo oggi la Cia-Agricoltori Basilicata ha incontrato prima il presidente dell’Anci Salvatore Adduce e successivamente il Prefetto di Potenza Annunziato Vardè.
L’allarme non riguarda solo i danni alle aziende agricole ma la stessa incolumità dei cittadini come provano i numerosi incidenti provocati da cinghiali contro auto in circolazione specie lungo strade delle aree più interne.
Tra le proposte presentate la possibilità da parte degli agricoltori possessori di regolare porto darmi di concretizzare azioni di autotutela e di salvaguardia delle colture e del patrimonio fondiario e degli allevamenti; nelle more delle modifiche della legge 157/92 che regola la materia il governo centrale emani un dispositivo autorizzativo a favore delle Regioni che dia la possibilità alle stesse di dar vita, di concerto con le autorità sanitarie e ambientali, a piani straordinari di gestione degli abbattimenti definendo controlli, utilizzo e smaltimento dei capi abbattuti.
La Cia-Agricoltori ha presentato ad Anci e Prefetto la sua proposta di riforma radicale per un problema ormai fuori controllo, tra danni milionari ad agricoltura e ambiente, rischio malattie, incidenti stradali sempre più frequenti e minacce alla sicurezza dei cittadini anche nelle aree urbane.
Sono 7 i punti chiave per invertire la rotta sulla questione animali selvatici: sostituire il concetto di protezione con quello di gestione; ricostituire presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il Comitato tecnico faunistico venatorio, a cui dare le competenze oggi divise in diversi ministeri; distinguere le attività di gestione della fauna selvatica da quelle dell’attività venatoria; prevedere la possibilità di istituire personale ausiliario, adeguatamente preparato e munito di licenza di caccia; rafforzare l’autotutela degli agricoltori sui propri terreni; prevedere un risarcimento totale del danno subito dagli agricoltori; rendere tracciabile la filiera venatoria per la sicurezza e la salute pubblica.
Il Presidente dell’Anci Adduce ha comunicato la convocazione d’urgenza del direttivo per sostenere l’iniziativa ed alzare il livello di mobilitazione dei Comuni mentre il Prefetto Vardè ha riferito che trasferirà le proposte ai Ministri interessati – Agricoltura ed Ambiente – per sollecitare provvedimenti.
La Cia-Agricoltori nel sottolineare che i danni hanno assunto una dimensione insostenibile anche in termini sicurezza nazionale, ha sottolineato la necessità della separazione tra l’interesse privato/ricreativo riscontrabile nell’attività venatoria e quello pubblico, riferibile al contenimento e alla gestione dei carichi, che non è più rinviabile.
Altrettanto strategica è l’organizzazione di una filiera delle carni selvatiche, così come azioni in ambito europeo per superare la riconducibilità degli indennizzi per i danni subiti dalla fauna selvatica al regime degli aiuti di Stato (de minimis).