Un calcio di coraggio
In vista della Supercoppa italiana tra Juventus e Lazio, Amnesty International Italia e UsigRai, il sindacato dei giornalisti dell’informazione pubblica hanno scritto ai presidenti dei due club calcistici chiedendo di non giocare la partita in Arabia Saudita. “
Nel Paese – si legge nella missiva – la situazione dei diritti umani rimane estremamente preoccupante e serve un gesto chiaro di condanna”.
Nella lettera inviata questa mattina, le due organizzazioni chiedono a Juventus e Lazio “una precisa e benvenuta assunzione di responsabilità” e di dare “il segnale che lo sport, il calcio in particolare, possono essere un veicolo straordinario di valori e un esempio virtuoso di grande importanza per il pubblico e per i tifosi più sensibili, i giovani”.
“Nonostante la grande campagna di comunicazione messa in campo dal governo saudita per accreditare un paese impegnato nelle riforme” – si legge nella lettera inviata ad Agnelli e Lotito – “la situazione dei diritti umani rimane estremamente preoccupante.
Se è stato abolito il divieto di guida per le donne ed è stato riformato l’istituto del ‘guardiano maschile’ da cui dipendeva ogni scelta riguardo alla vita personale e pubblica delle donne, le attiviste che avevano promosso le campagne su quei temi languono in carcere”.
“Già in occasione dell’ultima edizione della Supercoppa tra Juventus e Milan, disputata nel gennaio di quest’anno” – prosegue la lettera – “le nostre organizzazioni avevano espresso profondo disaccordo per una scelta che avrebbe rafforzato il cosiddetto sportwashing, la strategia adottata da molte nazioni del Golfo, prima tra tutte l’Arabia Saudita, di utilizzare lo sport, ospitando eventi di rilevanza internazionale, per distogliere l’attenzione dalla situazione dei diritti umani”.
La lettera ricorda la vicenda del blogger Raif Badawi, arrestato nel 2012 e condannato nel 2014 a 10 anni di carcere e a 1000 frustate (50 delle quali eseguite nel 2015 proprio a Gedda, sede della prima Supercoppa), che resta tuttora in prigione.
Vengono poi segnalate la repressione dell’intera comunità dei diritti umani, ridotta al silenzio attraverso dure condanne emesse al termine di processi profondamente irregolari, e le centinaia di condanne a morte eseguite negli ultimi anni, che fanno dell’Arabia Saudita il terzo stato al mondo per numero di esecuzioni.