Fiorella Mannoia, il mio disco figlio del lockdown Esce Padroni di niente. “Ripartire per non far morire settore”
La pandemia e il lockdown ci hanno costretto a guardarci dentro, a interrogarci sul senso della vita.
“E ci siamo resi conto come sia bastata una minuscola entità cellulare per metterci in ginocchio, noi che ci consideravamo invincibili, e farci renderci conto che non siamo padroni di niente”.
E da lì, Fiorella Mannoia è partita per costruire il suo nuovo album, per il quale ha scelto proprio il titolo Padroni di niente (cd in uscita oggi, il vinile dal 20 novembre, per Sony Music). “Sono canzoni figlie di quel momento, ma con concetti universali senza tempo”.
“Un disco concepito durante il primo lockdown – racconta la cantante in collegamento zoom -, dalle chiacchierate con Amara (autrice per lei di Che sia benedetta, portata al festival di Sanremo del 2017).
Quando i nostri pensieri volavano alto e ci interrogavamo su dove stavamo andando, sul senso che aveva tutto quello che stavamo vivendo.
Si parlava di un nuovo Umanesimo, della necessità di rimettere al centro l’uomo a scapito del profitto. Guardavamo affascinati la natura riprendersi i suoi spazi.
E invece quando si è riaperto, tutto è tornato come prima se non peggio. Non siamo migliorati e siamo riusciti a dividerci pure su questo.
Ora siamo arrabbiati, preoccupati per il futuro: costretti a dover scegliere tra salute e lavoro. E la politica si dà battaglia sulla pelle della gente. Possiamo considerare il 2020 l’anno più brutto dal dopoguerra ad oggi”.
E a raccontare queste sensazioni e questi momenti che nessuno si sarebbe mai immaginato di vivere è anche la copertina del disco, ispirata al quadro “Viandante sul mare di nebbia” di Caspar David Friedrich, con la differenza che il “Viandante” di Friedrich è intento a guardare il mistero di un orizzonte di nebbia, mentre il “Viandante” di Padroni di Niente, Fiorella, osserva la civiltà, “quello che l’uomo è riuscito a costruire, ma anche a distruggere e a non risolvere, come le baraccopoli sotto ai grattacieli imponenti”.
Nel disco, anticipato dal singolo Chissà da dove arriva una canzone, scritto per Fiorella da Ultimo (“una collaborazione nata perché ci siamo conosciuti e piaciuti.
E’ uno dei pochi delle nuove generazioni che scrive canzoni”), non mancano i sentimenti, gli amori, come quello premuroso tra madre e figlia, e l’invito a non smettere mai di sognare, come unica ed eterna speranza per andare avanti. Un disco che in tutti i suoi aspetti risponde ad un’unica esigenza: andare all’essenzialità.
“E’ un album scarno, suonato, senza elettronica. Con solo otto pezzi, perché non è tempo di mettere dentro cose di cui non sei convinto”, spiega Fiorella Mannoia.
Come precedente disco, “Personale”, torna la formula della “canzone sospesa”, che prende spunto dalla tradizione napoletana del “caffè sospeso”, ovvero condividere uno spazio nel proprio album con un’artista emergente, la cantautrice Olivia XX con cui duetta sulle note di “Solo una figlia”.
A maggio, Fiorella ha in programma di portare il disco in tour nei teatri con 11 date già programmate (il 12 a Bologna, il 13 a Torino, il 15 a Mantova, il 18 ad Ancona, il 20 a Bari, il 22 a Napoli, il 23 a Roma, il 26 a Bergamo, il 28 a Bassano del Grappa (VI), il 29 a Brescia, il 31 a Milano).
“Presto dire come sarà il live. Ma noi dobbiamo ripartire perché questo è l’unico modo per aiutare i lavoratori dello spettacolo.
Magari anche con produzioni anche più scarne, ma ripartire. Ci siamo interrogati anche se fosse meglio far uscire questo disco fra qualche mese, ma no perché anche questa è una forma di resistenza. Dobbiamo rimettere in moto la macchina, altrimenti sarà un disastro”.
Fiorella Mannoia si sofferma anche sulla necessità di intervenire in maniera più concreta per le maestranze ormai ferme da mesi. “Noi artisti possiamo mettere fondi di tasca nostra, ma dobbiamo chiedere al Governo che i lavoratori vengano tutelati.
Finora si è visto poco o niente dei contribuito”. La cantante punta il dito conto l’idea, dura a morire, che “con la cultura non si mangia.
Se facciamo passare il concetto che di noi artisti si può fare a meno, perché facciamo cose ludiche di cui nessuno ora ha bisogno, è deleterio. Siamo essenziali come lo è il pane”.
(ANSA)