Tele disperse e anni bui, tutti i misteri di Caravaggio
ROMA, C’è forse un trascorso da soldato, che probabilmente lo vide in giovinezza arruolarsi nella guerra che oppose l’Austria all’Ungheria, dietro la propensione alla violenza e alle armi che rese così travagliata e difficile la vita del Caravaggio.
E chissà che dietro quel suo caparbio rifiuto della famiglia, che lo portò persino a disconoscere il fratello sacerdote, non si nascondesse, invece, un inconfessato desiderio di focolare domestico e di paternità.
Riuniti da un super convegno a puntate organizzato dall’Accademia Urbana delle arti e dall’Università la Sapienza di Roma, 40 grandi nomi dell’arte mondiale, da Alessandro Zuccari a Raffaella Vodret, da Silvia Danesi Squarzina a Covis Whitfield, Claudio Strinati, Bert Treffers e Barbara Jatta, solo per citarne alcuni, espongono i risultati dello loro ultime ricerche, propongono ipotesi, anticipano pubblicazioni e dibattono tra loro, via zoom, davanti ad un pubblico di settimana in settimana più vasto di studenti, professori, esperti, curiosi.
Tanti diversi punti di vista per cercare di fare chiarezza su quello che a dispetto di una grande mole di studi rimane “L’enigma Caravaggio”, sottolineano presentandolo gli organizzatori, gli storici dell’arte Sergio Rossi e Rodolfo Papa.
E già dopo tre dei cinque incontri in programma ( i prossimi sono previsti nella giornata di oggi 26 e poi il 28 gennaio sempre su caravaggio.info) le novità, così come le suggestioni più intriganti, non mancano.
Pensata nei 450 anni dalla nascita del pittore lombardo e a 70 dalla mostra allestita nel 1951 a Milano da Cesare Longhi, quella che di fatto innescò il mito di Caravaggio nel mondo, l’iniziativa tocca un’infinità di temi e tra questi i tanti misteri ad oggi irrisolti. Il buio sulla produzione dei suoi anni milanesi, ad esempio, di cui non rimane nulla.
Ma anche l’infinità di opere disperse e le molte cose non chiarite dei suoi anni giovanili a Roma. Senza trascurare il rebus dei doppi (“repliche dello stesso Merisi o copie?”) il suo rapporto con la religione, gli amori. Fino all’ultimo viaggio, quello intrapreso sulla feluca che da Napoli doveva riportarlo a Roma nell’attesa del perdono papale e che invece lo condusse ad una morte prematura, sulla spiaggia di Porto Ercole, in Toscana.
Ma fu proprio lì? E dove sono finiti i “tantissimi quadri” che il pittore aveva portato con sé in quell’ennesimo viaggio della speranza? Rossella Vodret, che sull’argomento ha appena pubblicato una poderosa monografia (“Caravaggio 1571-1610”, Silvana Editoriale 2021) prova a dare risposte proprio a questi interrogativi.
Sulla base dei documenti ritrovati all’Archivio di Stato di Roma nel 2011, la studiosa è convinta, come altri, che l’arrivo a Roma vada posticipato di quattro anni rispetto a quello che si è pensato fino ad oggi, nel 1596 quindi e non nel 1592.
E che in quel lasso di tempo il giovane Merisi, forse dopo un fatto di sangue a Milano, sia stato costretto ad arruolarsi combattendo contro i turchi in Ungheria.
“Sono ancora alla ricerca di un documento che lo provi, ma le date del conflitto coincidono e sono tanti gli elementi che lo farebbero pensare”, spiega all’ANSA. “Non ultimo il fatto che dalle fonti antiche sappiamo che Caravaggio era solito girare armato addirittura di una spada e di un pugnale, un equipaggiamento da soldato”.
Tant’è, l’arruolamento era peraltro via obbligata per chi si era macchiato di qualche delitto ed era stato in prigione, ragiona Vodret, “ma non spiega la totale assenza di opere milanesi, i famosi Ritratti dipinti subito dopo l’uscita della bottega di Simone Peterzano, dove aveva studiato”.
Senza contare che una sorta di nebbia avvolge pure il suo primo soggiorno nella capitale. “Sempre le fonti antiche ci raccontano di una estrema povertà e di tante teste dipinte”, aggiunge, “ma tutti questi quadri dove sono finiti?”.
Un mistero che resta da chiarire, così come dibattuta rimane la questione del rapporto con la religione di un pittore che per alcuni sarebbe addirittura eretico e miscredente.
Ancora negli anni Trenta del 900 la Chiesa stessa lo considerava eretico, “una persona troppo cruda nel suo modo di rappresentare il sacro”, sottolinea la direttrice dei Musei Vaticani Barbara Jatta.
Un’immagine che gli studi degli ultimi decenni hanno almeno in parte ribaltato, tanto che c’è chi sostiene, come il tedesco Bert Treffers, che non si possono comprendere appieno le sue opere senza far riferimento alle Sacre Scritture.
Colto e perfettamente calato nella religiosità del suo tempo, Caravaggio in fatto di religione sarebbe stato un convinto conservatore. Tanto rivoluzionario nella composizione dei dipinti, nella scelta dei modelli, nell’uso della luce, quanto tradizionale nei suoi sentimenti religiosi.
Capace di grande sintonia con i suoi altolocati committenti, i Mattei, i Giustiniani, il cardinal Del Monte e la stessa Chiesa di Roma, di cui prende le posizioni.
Altro che eretico e miscredente, insomma. Treffers ne è convinto: nelle opere del grande Caravaggio, arte e fede sono indissolubilmente legate, “impossibile comprenderne l’una senza l’altra”.
ANSA