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Da Caravaggio alle rovine, i tormenti di Guido Reni a Roma

Dal 1 marzo alla Borghese l'omaggio al Maestro del 600 italiano

ROMA, 28 FEB – La Roma delle grandi committenze legate al Giubileo del 1600, l’impatto stravolgente con l’archeologia, il confronto con Caravaggio e i rapporti non facili con gli altri grandi del suo tempo, l’urgenza di trovare un linguaggio nuovo e davvero suo, per la pittura religiosa, ma anche per le scene di paesaggio che tanto piacevano ai ricchi committenti.

Colto, raffinato, perfezionista, il grande Guido Reni, a dispetto di come la storia lo ha sempre raccontato, era anche un uomo irrequieto e tormentato, una personalità non meno complessa e in certi tratti non meno ombrosa di quella dichiaratamente maledetta del coetaneo Michelangiolo Merisi.

“Un pittore che abbiamo sempre considerato uno straordinario interprete della pittura religiosa, con profondi riferimenti classicisti, ma che è stato pure uno straordinario sperimentatore”, spiega appassionata la direttrice della Galleria Borghese Francesca Cappelletti presentando la piccola grande mostra che a più di trent’anni dall’ultima grande esposizione italiana darà il via dal 1 marzo alla prima di una serie di iniziative internazionali dedicate al Maestro del Seicento italiano.

Intitolata ‘Guido Reni a Roma. Il Sacro e la Natura’, curata da Cappelletti (con la collaborazione di un team di studiosi tra cui Raffaella Morselli e Maria Cristina Terzaghi), l’esposizione ruota al “ritorno a casa” della Danza Campestre, una tela della collezione Borghese, dispersa nell’ 800, che il prestigioso museo romano è riuscito a ricomprare. E proprio questo olio che racconta una festa da ballo all’aperto sotto un cielo dalle mille gradazioni di blu, si è rivelato un tassello fondamentale per ricostruire i primi anni romani dell’artista, i conflitti, le sperimentazioni, la messa a punto di un suo personale e particolarissimo linguaggio.

“Non un percorso di formazione perché Reni arriva a Roma sull’onda di una carriera già brillante”, spiega Cappelletti. “Era un pittore che già sapeva troppo e che in città resta un isolato di grande successo”. Piuttosto, allora, il racconto di quello che il maestro ha preso dalla sua esperienza romana e del segno che ha lasciato.

E anche un invito a riscoprirlo con un itinerario di luoghi romani che si affiancherà al catalogo.

ANSA

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