L’occhio in gioco, l’inganno del movimento e del colore
PADOVA – L’immagine realizzata dal fotografo Vernon Dewhurst per la copertina dell’album di David Bowie “Space Oddity”, uscito l’11 luglio 1969, nove giorni prima dello sbarco dell’uomo sulla Luna, chiude la sezione storica, a cura di Luca Massimo Barbero, della mostra “L’occhio in gioco.
Percezione, impressioni e illusioni nell’arte”, a Palazzo del Monte di Pietà, a Padova, fino al 26 febbraio 2023. Il volto del cantante è sovrapposto ad un’opera di Victor Vasarely, uno dei padri dell’Optical Art.
E’ un’immagine che crea una sensazione di straniamento visivo, che impegna lo sguardo, che interroga sul possibile inganno ottico.
E’ l’immagine conclusiva – eppure snodo centrale rispetto al tema della percezione, del sottile limite tra ciò che vero e ciò che potrebbe esserlo e non lo è – del percorso espositivo della sezione storica, ma non cronologica, di una mostra che idealmente prende avvio da un raro manoscritto ad opera di Giovanni Dondi dell’Orologio, della seconda metà del Trecento, e arriva ad una sala degli specchi, alle “Percezioni riflesse” (tra tutti un lavoro di Anish Kapoor) così attuali in epoca di selfie.
“L’esposizione – rileva Barbero – è dedicata alle ricerche artistiche che nel tempo si sono concentrate sul colore, l’ottica, il movimento, la percezione, articolandosi dal XIII al XX secolo”.
Attorno a questi capisaldi, in una dimensione espositiva che procede per “inciampi” nel tempo, ad usare un modo di dire caro al curatore, si passa, ad esempio nella prima sezione “Colore come cosmo”, da una miniatura del Duecento ad un acquarello di Kandinskij, da un globo celeste di manifattura siriana o egiziana del 1225 circa a un lavoro di Tomas Saraceno.
Nelle 11 sezioni storiche è un continuo gioco di sorprese visive che parlano di arte e scienza, di ottica e teorica del colore, di tecnica e fotografia, attraverso rimandi ed accostamenti che trovano forza nei lavori di studiosi ed artisti che hanno affrontato, ciascuno con una cifra diversa, i temi della percezione, dell’opera in movimento, della distorsione della realtà, della prospettiva e dell’inganno visivo.
Si passa, solo per citarne alcuni, da Serault a Severini, Muybridge, Picasso, Duchamp, Balla, Frank Stella, Calder, Munari, Ontani, Soto, Grazia Varisco, Vasarely, Dadamaino (unica protagonista della sezione “Il movimento delle cose”).
Voluta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, in collaborazione con l’Università di Padova, nell’ambito delle celebrazioni per gli 800 anni dell’Ateneo, l’esposizione “L’occhio in gioco” (oltre 400 opere), presenta – in un percorso per il visitatore quasi senza soluzione di continuità – una seconda parte molto nutrita dedicata al Gruppo N – nato nella città veneta nel 1960 e protagonista internazionale, in una dimensione di “collettivo” più che di singoli artisti, che trova il suo apice nella Biennale del 1964, dominata però dalla novità della Pop Art statunitense – e alla psicologia della percezione, in considerazione del laboratorio di psicologia sperimentale attivo fin dal 1919.
Sul piano artistico, sono protagonisti – nella sezione curata da Guido Bartorelli, Giovanni Galfano, Andrea Bobbio e Massimo Grassi dell’Università patavina – personalità come Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi, Manfredo Massironi e Marina Apollonio, attraverso opere, documenti ed immagini. Assieme alla mostra a Palazzo del Monte di Pietà, l’offerta espositiva è arricchita da cinque installazioni distribuite in città: dal cortile dell’Ateneo all’Orto Botanico, al Museo di Storia della Medicina.
In occasione del progetto su “L’occhio in gioco”, sono stati editi due volumi (uno par la parte storica l’altro per il Gruppo N) a cura di Silvana Editoriale.
ANSA