Pensioni: 700 milioni per Quota 41, platea fino a 50mila Uscite potrebbero essere la metà
Se il Governo metterà in campo la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi e almeno 62 anni di età le risorse che potrebbero essere stanziate nella manovra dovrebbero essere intorno a 700 milioni per una platea totale di 45-50mila persone.
Ma è probabile che le uscite reali si fermino alla metà della platea – meno di 25mila persone quindi – soprattutto se si deciderà per il divieto di cumulo con il lavoro come è stato previsto per Quota 100.
In quel caso a fronte di una platea di un milione di persone con i requisiti nel triennio 2019-2021 ne sono uscite circa 380mila. La cifra da spendere per la nuova misura “Quota 103” raddoppierebbe nel 2024 fino a 1,4 miliardi, sempre se si considera la platea totale, dato che nel 2024 tutte le persone saranno interamente in pensione mentre il prossimo anno uscirebbero nel corso dei dodici mesi e molto probabilmente con il meccanismo della ‘finestra mobile’.
Le pensioni saranno uno dei capitoli fondamentali della prossima legge di bilancio, anche se le risorse limitate ridurranno l’impatto di gran parte delle misure, almeno rispetto a quanto promesso dai partiti di maggioranza in campagna elettorale.
Sicuramente il canone Rai resterà in bolletta, come annunciato dal ministero dell’Economia, nonostante il Pnrr ne prevedesse l’esclusione.
Sul fisco, come ribadito da Matteo Salvini, si andrà invece ad un aumento della soglia dell’aliquota al 15% dagli attuali 65.000 a 85.000 euro, con il tentativo peraltro di introdurre anche la flat tax incrementale.
La ‘tregua fiscale’ permetterà una nuova rottamazione delle cartelle, mentre la revisione del reddito di cittadinanza garantirà circa un miliardo che dovrebbe confluire proprio sul sistema pensionistico.
Oltre che introdurre Quota 41, il governo potrebbe infatti rinnovare strumenti ormai collaudati come Opzione donna e Ape social. Secondo fonti vicine al dossier sono diverse le stime che si stanno facendo ma è probabile che si fissi, come è stato per Quota 100, un periodo di finestra mobile.
Allora fu di tre mesi per il lavoro privato e di sei mesi per il pubblico. C’è un dubbio per quanto riguarda le donne del pubblico impiego che in caso di finestra di sei mesi avrebbero un anticipo molto ridotto rispetto alle regole attuali che, indipendentemente dall’età, prevedono 41 anni e 10 mesi oltre a tre mesi di finestra mobile. L’efficacia sarebbe praticamente nulla per le donne della scuola perché si va in pensione una volta l’anno.
Se dovessero uscire circa 25mila persone con una pensione media di 2mila euro al mese si spenderebbero circa 650 milioni se si considerasse tutto l’anno ma bisogna invece considerare circa tre mesi di finestra mobile oltre al fatto che l’accesso alla misura non sarà per tutti dal primo aprile dato che alcuni raggiungeranno i requisiti nel corso dell’anno.
Se si considera una media di utilizzo di sei mesi per il 2023, cioè per il primo anno, la spesa sarà di circa 325 milioni. In parte la spesa si recupererà nel tempo, almeno per la parte contributiva, dato che la pensione che si percepisce è collegata ai contributi versati fino a quel momento.
Le coorti che saranno interessate alla misura se si fisserà l’età minima a 62 anni sono solo quelle del 1960 e 1961 (quindi 62 e 63 anni) perché quelle più anziane sono già uscite con quota 100 (il 1959 con 62 anni nel 2021) e le più giovani saranno ancora bloccate. Chi infatti avrà nel 2023 64 anni di età e 41 di contributi ne aveva già 62 di età e 39 di contributi nel 2021 e aveva quindi i requisiti per Quota 100.
Sembra invece già uscita dai radar la possibilità di dare un contributo a chi decide di restare al lavoro pur avendo i requisiti per il pensionamento. E’ altissimo il rischio flop come ci fu per il Tfr in busta paga dato che i lavoratori difficilmente deciderebbero di avere il 10% della retribuzione in busta paga subito rinunciando al 33% di contributi versati per la propria futura pensione.
ANSA