CRONACA

Il reddito di cittadinanza? “Uno spreco di opportunità”. No “ha evitato il disastro sociale”

Favorevoli o contrari, condividono comunque due questioni. La prima : il passaggio dalla stagione del reddito di cittadinanza a quello che sarà dopo deve essere gestito molto bene, senza trappole e false promesse, con la consapevolezza che i poveri veri sono tanti e che il mondo del lavoro è un jungla. La seconda: il reddito, così come è concepito adesso, è sbagliato e pieno di errori. E alla fine, come si vedrà, quando si prova ad uscire dall’ideologia e dallo slogan, le posizioni nate contrarie sono più vicine.

Il Reddito di cittadinanza è stato istituito nel 2019, ci è costato finora una media di 7-9 miliardi l’anno. E’ stato sicuramente un tetto e una protezione per questi anni durissimi. Qualcuno ha parlato di “decennio brevissimo” in cui è successo di tutto. Non ha funzionato nella parte delle  politiche attive. Nel 2021 è costato 8,4 miliardi e ha coinvolto 2,5 milioni di persone. Più della metà però sono inabili al lavoro.  Solo il 42% di quelli abili sono presi in carico dai centri per l’impiego. Solo i 10% trova lavoro, per lo più – però – temporaneo e povero.

Chi sono i duellanti

I duellanti di questa puntata di Duels sono Rossano Rossi della Cgil di Lucca e Fabrizio Bernini di Confindustria Toscana, area Sud.

“Sono a favore di questo strumento e ne riconosco l’utilità con tutti i limiti  del caso – dice Rossi – Non c’è dubbio che non abbia  funzionato nella parte delle politiche attive (cioè formazione, ricerca ed inserimento nel mondo del lavoro, ndr )ma in una fase così difficile, pandemia, guerra e inflazione, 5,6 milioni di famiglie in povertà e 11 milioni in povertà relativa (che significa basta un imprevisto e cadono in povertà) hanno trovato un sostegno con un minimo di protezione. Grazie al reddito è stato evitato un disastro sociale”. Basterebbe con molto onestà partire da qui e la qualità del dibattito sul reddito salirebbe subito in qualità.

Infatti chi è nel ruolo del “contrario”, cioè l’industriale Bernini, fa subito una precisazione che è sostanziale: “Io sono contrario al reddito in quanto primo lavoro. Non so se mi spiego…”. Nulla in contrario all’esistenza di una nuova forma di ammortizzatore sociale  “ma per chi non ha mai lavorato serve la formazione per poi tentare l’ingresso nel mondo del lavoro e in un’azienda”.

“Date quei soldi alla formazione”

Per uscire dalla teoria, Bernini precisa: “Io credo che se quei 500 euro in media che arrivano a quei circa due milioni di famiglie in Italia fossero invece assegnati alla aziende, piccole o grandi che siano, per fare una formazione seria con la garanzia di assumere al termine, sarebbero spesi molto meglio”. Primo perchè ci sarebbe maggior controllo sulla spesa. E poi perchè quei soldi servirebbero a creare formazione e quindi lavoro.

Il sindacalista Rossi non ci sta. “Basta dire queste cose: nessun giovane aspira come primo lavoro al reddito o al sussidio. E poiché ha analizzato i dati, questo come gli altri anni, posso garantire che non sono i giovani ad aver beneficiato del reddito ma gli over 40 e 50 che hanno perso lavoro e non riescono a trovarlo. E quando ad una famiglia sull’orlo del baratro gli arrivano 500 euro al mese, credetemi, quei pochi soldi valgono oro. Le politiche attive sul lavoro sono una cosa seria. La povertà è drammatica”.

La via maestra è senza dubbio separare i due strumenti, il sostegno alla povertà deve seguire una propria strada (come fece il Rei, Reddito di inclusione,  deciso da Renzi e applicato da Gentiloni). Le politiche attive devono essere del tutto ripensate.  “Il punto – insiste Rossi – è cosa fare adesso. Il governo Meloni – in buona compagnia peraltro – ha deciso di togliere il reddito. Ma non spiega cosa succederà adesso, a luglio quando cesserà di funzionare la tessera gialla su cui vengono accreditati i soldi. Che succede ai poveri? E cosa succede a chi il lavoro non ce l’ha? Si mandano in rovina altre milioni di persone. E’ questo che mi preoccupa. Mettere tutto insieme è stato sbagliato. Lo è, anche di più, criminalizzare”.

In effetti nessuno sa e può dire cosa succederà dalla fine di luglio quando – ormai è legge scritta nella manovra pubblicata in Gazzetta Ufficiale – cesserà l’erogazione dei fondi. Sicuramente il governo ha un piano, la ministra Calderone è persona attenta alle politiche attive, conosce a fondo il mondo del lavoro e il suo silenzio è positivo, nel senso che è concentrata giorno e notte sul dossier. Nulla è stato però spiegato o anticipato. Da qui la preoccupazione.

“La terza fase”

Ecco che allora Bernini cerca di andare oltre e immagina “una terza fase”. “Guardate – dice – che c’è richiesta di mano d’opera, le aziende cercano forza lavoro però non dico specializzata ma almeno formata. Ecco perchè sono convinto che la strada sia aiutare le aziende a fare formazione e a dare stipendi decenti”. Già, decenti, e qual è il limite della decenza oggi?  “Lo decidiamo insieme, anche con lo stato. Un reddito universale garantito al primo ingresso. Poi uno se la gioca.  Guardi io ho sotto di me 500 persone e non ne ho una a tempo determinato. Tutta gente formata. Però è necessario che chi cerca lavoro vada una azienda a vedere per un periodo cosa significa ed è altrettanto necessario che chi assume possa avere un tempo per capire e valutare chi sta per fare ingresso in famgilia, cioè nella sua azienda”.

Mettere insieme domanda e offerta

Se è vero – ed è confermato da tutti i rilievi statistici – che c’è molta domanda di lavoro e tanti disoccupati (siamo però al minimo storico al netto delle solite sacche concentrate nel regioni del sud)  un altro problema da risolvere è far incrociare domanda e offerta di lavoro. Cosa che finora non è stata possibile. O molto poco. Rossi è scettico su questo punto: “Il problema non è far incrociare domanda ed offerta ma offrire un posto di lavoro decente. Tutto qua”. E  mette sul tavolo il suo cavallo di battaglia, quello che mette a tacere tante chiacchiere: “In Sammontana ogni stagione vengono assunte centinaia di persone – e altrettante restano fuori – perchè da noi trovano contratti seri. Il problema nasce quando si pretende di portare la gente a lavorare in condizioni simili allo sfruttamento. Il problema è che tipo di lavoro ti offro”.

Bernini insiste: “Le politiche del lavoro devono seguire le esigenze del mercato per fare formazione in quello che serve”. In effetti è una considerazione così logica da sembrare  pleonastica. Il problema è che questo non avviene. Non ancora, almeno.

La jungla dei contratti

Un altro problema è che in Italia esistono 885 diverse tipologie di contratto. Nel 2007 erano 200. Solo un terzo è noto all’Inps. Circa cento sigle sindacali. Finchè esiste questa proliferazione di contratti e sigle, sarà sempre tutto molto difficile. Se non impossibile.  Rossi rivendica che “Cgil chiede da anni una nuova legge sulla rappresentanza proprio per fare ordine in questa giungla che produce sfruttamento. I contratti pirata infestano il mondo del lavoro. Però ripeto: Sammontana fa contratti regolari, applica il contratto nazionale e riusciamo ad assumere almeno 500 stagionali ogni anno che vengono da tutta Italia. Come vedete domanda e offerta funzionano bene quando le cose sono chiare”.  Bernini resta in scia: “Poche regole, chiare e diritti uguali per tutti. Però gente preparata”. Imparare un mestiere invece che percepire il reddito che è diventato, secondo Bernini, “uno spreco di opportunità, quelle pari a circa 25-27 miliardi,  per cui i giovani sono diventati sempre più poveri”.

notizie.tiscali.it

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