Da Venosa a Caprera l’arte rivelata dagli sguardi
Con fotografi e narratori i musei come non li abbiamo mai visti
ROMA – I mille segni sui muri dell’Incompiuta a Venosa, capolavoro di pietra e poesia che i monaci benedettini abbandonarono prima che fosse finita; le riflessioni sulla storia e il non detto che sembra rivelarsi a Monza dal buio del monumento a Umberto I, “Il re buono” ucciso dall’anarchico Bresci; i rosa rarefatti delle figure che il Beato Angelico dipinse per sé e per gli altri religiosi in quello che una volta era il suo convento e che oggi è il piccolo, struggente, museo di San Marco a Firenze.
L’arte alle volte è una questione di sguardi, di prospettive diverse, di particolari capaci di evocare pensieri. Ed è proprio l’occhio dei grandi autori della fotografia italiana, da Olivo Barbieri a Paola De Pietri, da Silvia Camporesi a Luca Capuano -solo per citarne un primo gruppo- ad accompagnarci in un viaggio fascinoso e particolarissimo alla scoperta di luoghi della cultura alle volte poco conosciuti, poco frequentati, o semplicemente, chissà perché, dimenticati.
Piccoli e grandi capolavori scelti tra le centinaia di paesaggi museali disseminati un po’ ovunque per l’Italia e sui quali un ambizioso progetto fotografico del ministero della Cultura, tema di una nutrita collana di libri e poi di una grande mostra che si allestirà in autunno, prova ora ad accendere una luce diversa.
Ognuno a suo modo, è questo il bello. Perché ai grandi fotografi ai quali è stato chiesto di collaborare, spiega all’ANSA Maura Picciau, la storica dell’arte e direttrice dell’Istituto Nazionale per la Grafica che ha ideato e curato questa avventura realizzata dalla direzione generale musei di Massimo Osanna, è stata offerta in sintesi una totale libertà.
Visioni diverse e uniche, dunque, ogni viaggio un libro- quattro già pubblicati – alle quali si affiancano di volta in volta le voci altrettanto libere di un narratore e di un critico, tra i tanti Melania Mazzucco, Marcello Fois, Franco Arminio, Lisa Parola.
“Altri sguardi”, come riassume il titolo scelto per la collana in corso di stampa con Corraini Edizioni. “Di fatto una nuova opportunità di far conoscere e promuovere i musei italiani con un linguaggio innovativo attraverso la creatività e lo sguardo libero degli artisti a cui abbiamo chiesto di interpretare la varietà, la valenza storica e i particolari meno noti di musei, abbazie e certose, aree archeologiche, case museo ma anche depositi disseminati in tutto il territorio”, commenta Osanna, facendo notare che il progetto porterà anche ad un arricchimento delle patrimonio pubblico perché alcune di queste immagini verranno donate dai loro autori alle collezioni del Museo della Grafica e a quelle dei singoli musei ritratti.
In attesa della mostra che si terrà in autunno nelle sale di Palazzo Poli e che proverà a riunire in un solo fantasmagorico viaggio questo caleidoscopio di diverse visioni, i quattro volumi già pubblicati sono mondi a sé tutti da scoprire.
Come l’abbacinante Caprera di Garibaldi restituita dagli scatti di Paola De Pietri, immersa in una luce bianca e rarefatta come gli ambienti spartani della casa disseminata di cimeli dell’eroe dei due mondi cui da voce anche il delizioso racconto di Marcello Fois.
O come la Venosa di Orazio, dove anche i muri della città moderna, le sue piazze, le sue fontane, raccontano una storia fatta di stratificazioni, “un alfabeto incompiuto”, lo ha definito Barbieri, che qui si ritrova negli angoli delle strade come nel parco archeologico, su cui affaccia il complesso della Santissima Trinità con quella chiesa mai finita, natura e cultura che si intrecciano e la “bellezza delle cose rotte”, come sottolinea poetico Franco Arminio.
In un giardinetto di Monza la monumentale Cappella Espiatoria progettata da Sacconi per commemorare il re ucciso, si rivela nel lavoro di Silvia Camporesi con un esplodere di particolari, il motto inciso dei Savoia, il tema ricorrente del nodo, il disegno della grata. Ma anche le scarpe dell’anarchico assassino, la sua pistola.
Un lavoro “intorno a ciò che il monumento sembrava non dire più”, confida Camporesi alla scrittrice Lisa Parola, uno sguardo che si centra sulla distanza, sulla relazione difficile tra la memoria e la sua definizione contemporanea.
A Firenze è l’occhio intriso di architettura di Luca Capuano a restituirci partendo dai particolari le meraviglie del museo di San Marco, quel “paradiso di arte e di libri”, per dirla con la passione di Melania Mazzucco, che custodisce più opere del Beato Angelico di qualunque altro museo.
I piedi scalzi dei monaci che fanno capolino sotto alla tavola bianca con i resti un pasto di pane e ciliegie, la cornice scolpita di una crocefissione, il bianco stordente di una delle celle.
Particolari, visioni inaspettate, punti di vista. In qualche modo sguardi di traverso che alla fine si ritrovano in ognuno di questi differenti lavori.
E che tutti insieme, come sottolinea anche la critica Marinella Paderni, racchiudono il senso dell’intero progetto: quello di “svelare ciò che di inatteso un luogo può donarci, per ritrovare il senso della nostra storia”.
ANSA