MUSICA

Paolo Fresu, ‘il jazz è libertà e improvvisazione’ Nel triplo cd Legacy il trombettista celebra la sua lunga storia

Tre dischi all’insegna dell’improvvisazione per celebrare tre capitoli cruciali di una lunga vita in musica: 40 anni con gli amici del Quintetto storico, 22 con il pianista americano Uri Caine e 20 con il Devil Quartet.

Paolo Fresu ha fatto le cose in grande per raccontare la sua storia e le collaborazioni che l’hanno scandita. Invece di andare sul sicuro scegliendo una compilation di successi del passato, il trombettista di Berchidda è entrato in sala di registrazione con i suoi compagni di viaggio seguendo la sfida della libertà espressiva.

Il risultato, fresco di uscita dalla sua etichetta Tuk Music, è Legacy, triplo cd con 36 titoli più una serie di bonus e brani ‘fantasma’ – nell’edizione in vinile saranno in totale 59 – che spaziano da Bellini ai classici del jazz, da Gershwin a Alice Cooper a Modugno.

Fresu, il suo ultimo lavoro sembra un disco definitivo. Legacy, ricorda nelle note, vuol dire eredità, lascito. Ha intenzione di smettere? “No, no, al contrario – dice sorridendo all’ANSA -.

Ho scelto un progetto nuovo, perché l’idea di sempre è fare esperienze nuove e cercare di spingere la musica sempre più in là in modo coraggioso come questi tre dischi totalmente improvvisati”. “Per me – rimarca – il jazz è appunto libertà e improvvisazione.

È facile l’equazione con lo swing, ma negli anni Settanta c’è stato il free che fa paura. Non può esserci jazz se oggi fai una cosa e domani la proponi allo stesso modo. Noi cerchiamo di metterci in gioco e rinnovarci ogni giorno”.

L’idea di Legacy parte, dunque, dai 40 anni del Quintetto, cinque giovani rimasti sempre insieme dal 1984. “Forse è il gruppo con lo stesso organico più longevo del jazz europeo – osserva -.

È il punto di arrivo di una grande amicizia e della voglia di crescere con la stessa determinazione degli inizi. Da qui abbiamo allargato alla trilogia. Ci siamo presi la libertà di fare un disco totalmente improvvisato grazie a una conoscenza profonda e a una grande qualità di ascolto. È questa l’eredità da tramandare”.

Registrare il disco con Uri Caine è stato facile, gli altri musicisti invece erano titubanti. “Alla fine tutti siamo rimasti colpiti dal risultato, dalla freschezza della musica.

Suonare in libertà ci ha portato in luoghi inesplorati. Musicalmente a legare i tre lavori è una idea di melodia. Pur essendo improvvisati, i brani sembrano scritti perché costruiti con un’architettura riconoscibile, difficile da spiegare ma più facile da capire all’ascolto”.

Alla produzione discografica e ai concerti Fresu affianca l’impegno di Time in Jazz, il festival creato nel 1988 che anche quest’anno, dall’8 al 16 agosto, porta nella sua Berchidda e in altri quindici comuni del nord dell’isola il meglio del jazz italiano e straniero.

Del resto, la sua parabola è radicata in Sardegna: il padre Lillino, pastore, i primi rudimenti musicali nella banda del paese e poi la scoperta del jazz.

“Oggi il mio è un jazz contemporaneo. Il mio modo di essere musicista è questo, tra acustica, a volte molta elettronica, e anche collaborazioni con artisti pop come Ornella Vanoni e Peter Gabriel.

La mia musica contiene le mie passioni e i miei ascolti, dai classici alla musica brasiliana ai suoni del mondo. Che cosa lega tutto?

Un suono, il suono del mio strumento. Il filo conduttore è la ricerca sonora da una parte e la ricerca melodica dall’altra”. Tuk Musik, fondata nel 2010, offre ai giovani artisti la possibilità di affacciarsi sulla scena discografica ma risponde anche all’esigenza di Fresu di pensare la musica a 360 gradi. “Disegnare il programma di un festival, scegliere un artista per la mia etichetta o la copertina di un disco è una maniera diversa di scrivere un’altra partitura”.

Tirando le somme, a che serve la musica? Prima di rispondere Fresu ricorda di aver sonorizzato nelle scorse settimane a Taranto il monumento ai marinai in memoria della sanguinosa battaglia del 1940 nel porto della città. “Oggi il Mediterraneo è teatro di altre guerre come quella dell’emigrazione e dei morti in mare.

La musica non può risolvere i problemi dell’umanità, ma fa parte delle buone pratiche che possono contribuire a migliorare il mondo. È uno strumento formidabile che tocca il cuore e non ha colore, è di tutti in ogni luogo del mondo.

Va usato anche per alzare la voce sulle cose che non amiamo o sui temi che ci sono cari, con l’afflato di un suono che poi diventa parola. L’artista ha una responsabilità importante, dobbiamo prendercela tutta anche rischiando le critiche.

La stessa libertà di cui dicevo a proposito dell’improvvisazione dobbiamo metterla in atto ogni giorno nelle nostre scelte di vita”.

ANSA

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