CRONACA

Ocse: Italia maglia nera sui salari, -7% dal 2019 L’Italia è terzultima: ‘Le imprese assorbano gli aumenti in busta’

La crescita regge e la disoccupazione è ai minimi, eppure l’Italia si tiene stretta la sua ‘maglia nera’ per la crescita, o meglio, la decrescita, dei salari reali.

Un trend che ha aiutato l’export, ma tiene sotto pressione il potere d’acquisto delle famiglie e quindi i consumi.La fotografia è dell’Ocse, i cui dati rielaborati dall’Inapp avevano sollevato l’allarme di salari reali stagnanti dal 1991 al 2023 (+1%) contro il 32,5% della media dei Paesi dell’organizzazione parigina.

Nel suo ‘Employment Outlook 2024’ l’organizzazione dà conto per l’area economica di un’occupazione sui massimi storici.

Ma i dati aggiornati al primo trimestre 2024 confermano il primato negativo dell’Italia per i salari reali, cioè al netto dell’inflazione: con un -6,9% rispetto al quarto trimestre 2019, il Paese è il peggiore nell’area euro (-2% la Germania, +0,1% la Francia), terzultimo fra i 38 paesi dell’Ocse superato in peggio solo da Cechia e Svezia.

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti difende il taglio del cuneo grazie al quale “siamo riusciti a compensare l’incremento del costo della vita senza alimentare una spirale salari-prezzi”.

Una linea che non convince l’opposizione, con Francesco Boccia (Pd) che, proprio con riferimento alla “maglia nera” assegnata dall’Ocse accusa il ministro: “l’ottimismo a prescindere, per il secondo anno consecutivo, quando aumentano ovunque le diseguaglianze, diventa incoscienza”.

L’Ocse bacchetta i Paesi dove i salari reali continuano ad andare all’indietro nonostante una stagione di utili societari più che buoni: “In molti Paesi c’è ancora spazio perché i profitti assorbano ulteriori aumenti dei salari”.

Nella sua Economic Survey dedicata all’Italia, a gennaio, l’organizzazione parigina notava la buona performance dell’export italiano rispetto ai partner europei nel periodo post-Covid, ottenuta guadagnando in competitività “principalmente grazie alla bassa crescita dei costi unitari del lavoro”.

Ma evidenziava anche la necessità, in un sistema di contrattazione collettiva dove le imprese hanno “significativo potere negoziale”, di far crescere più i salari e la produttività delle imprese, attraverso investimenti e innovazione.

Era uno degli obiettivi degli aiuti europei col ‘Recovery Plan’, ancora non andato a segno.

ANSA

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