Trump e Musk show, cyberattacco prova a fermarli
L'evento iniziato in ritardo per un "massiccio cyberattacco" al social
Trump e Musk show, cyberattacco prova a fermarli Il tycoon: ‘Vogliono far sembrare Kamala bella, come Melania’ NEW YORK
Uno show durato più di due ore e iniziato con 40 minuti di ritardo a causa di problemi tecnici attribuiti da Elon Musk a un cyberattacco non precisato.
La conversazione fra Donald Trump e il patron della piattaforma è uno scambio di complimenti e di domande facili che consentono all’ex presidente di cavalcare e ripetere, anche se con toni più dimessi, i suoi cavalli di battaglia contro l’immigrazione e soprattutto contro Kamala Harris.
“E’ un’incompetente, una radicale di sinistra che ha distrutto San Francisco”, ha tuonato Trump. “E’ peggio di Joe Biden, contro il quale c’è stato un colpo di stato.
E’ anti-Israele e gli ebrei che votano per lei dovrebbero farsi visitare. La vogliono far sembrare moderata ma non lo è”, ha aggiunto lamentando i tentativi di farla sembrare anche “bella come la nostra grande First Lady Melania”.
Musk si è detto d’accordo con l’ex presidente sul tentativo dei democratici di “riscrivere la storia” e di dipingere Harris come una moderata quando non lo è. I due hanno concordato anche sul rischio di una terza guerra mondiale – Trump è anche tornato ad aleggiare l’ipotesi di una Iron Done per gli Stati Uniti – e sulla necessità di avere un presidente duro che sia in grado di intimidire leader come Vladimir Putin, Xi Jinping e Kim Jong-Un.
“Puoi immaginare Xi che negozia con Kamala? Io andavo d’accordo con Putin, mi rispettava e lo misi in guardia dal non invadere l’Ucraina”, ha ricordato Trump.
Se vinceranno i democratici alla prossime elezioni sarà un “horror show” e vorrà dire che “la prossima volta ci vedremo in Venezuela, un posto più sicuro rispetto al nostro paese”, ha ironizzato l’ex presidente suscitando l’ilarità di Musk.
Il Venezuela è stato uno degli esempi citati da Trump sull’immigrazione: “hanno svuotato le loro carceri e hanno mandato i cattivi da noi”, ha osservato.
“Se vincono i democratici 50-60 milioni di persone arriveranno al nostro confine da tutto il mondo” in un momento in cui “siamo già travolti dai migranti.
Con me però ci sarà la maggiore deportazione della storia e il nostro confine sarà di nuovo sicuro”, ha messo in evidenza l’ex presidente.
Il miliardario ha condiviso con Trump i suoi timori per il “momento critico” che gli Stati Uniti stanno vivendo: “Spero in una tua vittoria per il bene del paese”, ha detto il miliardario spiegando di non essere mai stato finora una persona particolarmente impegnata in politica.
“Ho un passato più da democratico. Ho votato Barack Obama e trascorso ore in fila per potergli stringere la mano”, ha ricordato.
Musk fino a qualche anno fa non era un sostenitore di Trump e lo aveva ripetutamente criticato, anche per essere troppo anziano per guidare il Paese.
Critiche distanti ormai anni luce: nelle due ore di conversazione i due si sono detti praticamente d’accordo quasi su tutto, anche sugli elogi al presidente argentino Javier Milei, e si sono scambiati una serie di complimenti.
Per Musk quindi un cambio radicale: è passato in pochi anni da simbolo della California liberal a esponente del movimento Make America Great Again, riflettendo la trasformazione in atto in parte della Silicon Valley, per anni bastione liberal che ora però sta voltando le spalle al partito democratico.
Trump e Musk hanno fatto fronte comune anche nell’attaccare l’Unione Europea dopo la lettera del commissario europeo per il Mercato interno, Thierry Breton, che ha ricordato al miliardario il rispetto delle regole e la necessaria rimozione “tempestiva” di eventuali contenuti illeciti o fake news.
“Ci sono tentativi di censura da parte di altri paesi”, ha detto Musk. Trump ha colto l’occasione per criticare l’Ue che si “approfitta” degli Stati Uniti sul fronte commerciale mentre “noi li difendiamo con la Nato”.
L’Europa – è tornato a ribadire Trump – dovrebbe investire di più nella difesa e pagare “quanto noi” per l’Ucraina.
Bufera in Ue, ‘lettera di Breton a X non concordata’. Von der Leyen ignara
di Valentina Brini
Per lui, fedelissimo di Emmanuel Macron, l’importante è che se ne parli. A Bruxelles però non l’hanno presa bene. Il monito anti fake news a Elon Musk redatto di tutto pugno dal commissario Thierry Breton prima del live con Donald Trump “non era stato concordato né coordinato” con la presidente Ursula von der Leyen.
E sul francese, già bersaglio di un insulto volgare elargito dal patron di X, è bufera: prima sono arrivati gli strali dalla campagna di The Donald e poi una pioggia di critiche dall’interno della stessa Commissione europea e da una parte dell’arco politico Ue.
A partire dal capo delegazione di Fratelli d’Italia all’Europarlamento, Carlo Fidanza, che ha bollato la lettera spedita oltreoceano come “una censura preventiva vergognosa” dai tratti orwelliani, degna della repressione venezuelana di Maduro e non di quei “valori Ue” e di quel rispetto dello “stato di diritto” che soltanto qualche settimana fa aveva alimentato nuove tensioni sull’asse Roma-Bruxelles.
Stupito e notevolmente contrariato dalla “tempistica” e dalle “parole” usate da Breton, Palazzo Berlaymont si è visto costretto a difendersi. Von der Leyen non ne sapeva niente, ha tagliato corto una portavoce, lasciando trapelare il disappunto della tedesca già tradita da Breton in piena campagna elettorale, quando il francese la accusò proprio su X di non godere del sostegno per il bis nemmeno da parte del suo Ppe.
Prese le distanze dalla missiva nella quale Breton ha brandito l’arma del Digital Services Act – la storica legge Ue contro il far west dell’online entrata in vigore lo scorso anno – per diffidare Musk dalla diffusione di contenuti illeciti durante l’inedita conversazione con Trump, Bruxelles ha quindi espresso a più riprese la totale assenza di “intenzione di interferire con le elezioni negli Stati Uniti” allontanando le accuse di ingerenze lanciate dalla campagna dell’ex presidente americano, che aveva apostrofato senza mezzi termini l’Europa come “nemica della libertà di parola” intimandole di “farsi i fatti propri”.
Lo spettro delle critiche si è allargato a quelle di “censura” arrivate da più parti, portando Bruxelles a chiarire che gli obblighi sulla rimozione dei contenuti illegali e la lotta alle fake news previsti dal Dsa per le major del tech riguardano “solo le informazioni e i contenuti accessibili nell’Ue”.
Le reazioni della destra – più volte protagonista di duri scontri con Bruxelles sul rispetto della libertà di espressione – non si sono comunque fatte attendere: i fiamminghi del Vlaams Belang hanno concesso ironicamente al francese il “solo merito” di aver svelato “la vera natura dell’Ue”, fatta di un “controllo governativo sul modello cinese”.
E anche FdI ha attaccato l’intimidazione a Musk, plaudendo poi alla presa di distanze da parte di Palazzo Berlaymont.
Davanti a “grandi platee ci sono grandi responsabilità”, aveva avvertito Breton, mettendo in guardia Musk – seguito su X da quasi 194 milioni di follower – su possibili ritorsioni legali nei confronti dell’ex Twitter, compresa una sospensione temporanea del social sul suolo europeo.
Una minaccia giustificata dalle indagini Ue già aperte a carico della piattaforma per la continua diffusione di contenuti e fake news che generano violenza e incitano all’odio, non ultimo il caso dei ‘riots’ nel Regno Unito.
Anche per questo, il messaggio di Breton viene comunque considerato una sottolineatura “importante” per il rispetto delle regole da parte delle Big Tech. “Thierry ha una sua mente, un suo modo di lavorare e di pensare”, ha provato a difenderlo un funzionario a lui vicino.
Ma i modi e i toni dell’iniziativa personale non autorizzata adesso rischiano di far affondare le sue chance di promozione a vicepresidente nella prossima Commissione Ue.
ANSA