Il decreto migranti in tre articoli, possibile ricorso in appello La lunga trattativa sulla norma chiave per Meloni
Rispunta la possibilità di inserire il ricorso in Corte d’Appello contro le ordinanze del Tribunale sul trattenimento dei migranti nei centri per il rimpatrio.
Era uno dei punti chiave della “soluzione” che voleva Giorgia Meloni per evitare nuove ordinanze come quelle dei giudici di Roma sui migranti trattenuti nel cpr in Albania, ma sembrava destinata a saltare quando il Consiglio dei ministri ha varato il decreto legge con cui l’indicazione dei Paesi sicuri per il rimpatrio diventa norma di primo grado.
All’indomani della riunione, una fitta interlocuzione fra Palazzo Chigi, Viminale, ministero della Giustizia e Quirinale ha poi spalancato le porte del provvedimento alla norma, che non dovrebbe essere ostativa alla firma di Sergio Mattarella.
Nel secondo articolo della bozza del decreto legge del governo, per il ministero dell’Interno, in merito ad eventuali decisioni sul mancato trattenimento dei migranti nei centri di permanenza per il rimpatrio, “è ammesso reclamo alla corte d’Appello nel termine di cinque giorni (…) da effettuarsi anche nei confronti della parte non costituita. (…) La proposizione del reclamo non sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento reclamato. La corte d’appello, sentite le parti, decide con decreto immediatamente esecutivo, entro dieci giorni dalla presentazione del reclamo”. La bozza è composta di tre articoli.
Lo scenario
L’impugnazione in Appello comporta una rivalutazione della causa nel merito, e quindi – una delle osservazioni dietro la genesi della novità – ha più chance di ribaltare le ordinanze dei tribunali, a differenza di quella puramente di legittimità prevista dalla Cassazione.
Che ora riceve questo genere di ricorsi, e dovrà affrontare anche quello attivato dal Viminale contro le ordinanze sui 12 migranti trasportati a Bari dopo la mancata convalida del trattenimento a Gjader per il rimpatrio. A questo puntava Meloni. E senza quella norma non poteva essere soddisfatta del decreto, su cui come spesso accade si è lavorato anche dopo il Cdm.
A Palazzo Chigi sono stati fatti ragionamenti giuridici e politici, valutando l’impatto di entrambi gli scenari. Già in Consiglio dei ministri era emersa la sensazione che toccare solo la lista dei Paesi sicuri rischiava di non bastare per cambiare il trend delle ordinanze.
Fra le considerazioni, anche il timore che questa norma potesse apparire una forzatura difficile da far passare al vaglio del presidente della Repubblica. O accendere ulteriormente la tensione con il mondo della magistratura. Si è valutata anche la possibilità di accantonarla, e ripresentarla per via parlamentare sotto forma di emendamento durante l’esame tra Camera e Senato.
Poi, però, è prevalsa l’intenzione di insistere subito. E, come è emerso nel tardo pomeriggio di ieri, non ha trovato controindicazioni particolari nel confronto fra gli uffici legislativi coinvolti.
Il testo definitivo dovrebbe essere inviato a ore al Quirinale. Già si sta valutando la possibilità, una volta pubblicato in Gazzetta ufficiale, di traslare questo provvedimento sotto forma di emendamento al decreto sui flussi migratori, ora all’esame dell’Aula della Camera: anche su questo serviranno interlocuzioni.
Quel decreto, tra l’altro, ha a sua volta ripristinato il reclamo in Corte d’Appello (abolito nel 2017) contro i provvedimenti dei Tribunali distrettuali sulle richieste d’Asilo.
Una scelta che “renderebbe assolutamente ingestibili i settori civili”, come hanno obiettato neanche dieci giorni fa i presidenti delle Corti d’Appello, sollevando criticità legate alla riduzione di organico dei loro uffici e allo “sconvolgimento” di “un assetto ormai consolidato che ha assicurato un’adeguata tutela dei diritti”.
ANSA