Trump attacca ancora Harris. Kamala, ‘voltiamo pagina’
In 40mila al raduno della democratica davanti alla Casa Bianca
“Al Madison Square Garden c’è stata una festa dell’amore”: Donald Trump convoca la stampa a Mar-a-Lago, la fa aspettare per oltre un’ora e poi improvvisa un monologo di 60 minuti in mezzo ad una claque senza mai affrontare le polemiche per gli attacchi razzisti e misogini di alcuni ospiti del suo incendiario comizio a New York.
A partire dal comico Tony Hinchcliffe, che ha definito Porto Rico “un’isola di spazzatura”, una battutaccia che rischia di far perdere voti a The Donald tra i latinos, in particolare tra i portoricani, molto numerosi nel cruciale stato in bilico della Pennsylvania.
La sua campagna ha preso le distanze, da lui invece nemmeno una parola. Neppure di fronte alla richiesta di scuse dell’arcivescovo Roberto González Nieves di San Juan, Porto Rico, che gli ricorda come l’umorismo abbia “i suoi limiti” e “non dovrebbe insultare o denigrare la dignità e la sacralità delle persone: questo genere di osservazioni non provocano solo risate sinistre, ma anche odio”.
Il tycoon invece ribalta il tavolo accusando Kamala Harris di fare “una campagna d’odio” e di accostarlo a Hitler perché “il suo operato è orribile”, dall’immigrazione all’economia.
E si presenta come il salvatore del Paese che “sistemerà tutto” ciò che lei e Joe Biden “hanno distrutto”. “Io non sono un nazista, solo il contrario di un nazista”, si era difeso la sera prima in un comizio ad Atlanta, definendo la sua rivale una “fascista”.
Anche Melania ha preso le sue parti su Fox (“sono paragoni orribili, mio marito non è Hitler”), aumentando le sue apparizioni nello sprint elettorale finale mentre Ivanka continua a restare la grande assente della famiglia (il padre non l’ha neppure citata al Madison).
Trump ha organizzato l’ennesimo show come contraltare al maxi comizio in serata di Harris davanti ad un’annunciata folla di 40 mila persone all’Ellipse, nel prato tra la Casa Bianca e il National Mall, dove l’allora presidente radunò i suoi fan e li aizzò a “combattere come dei dannati” contro le “elezioni rubate” prima che assaltassero il Capitol il 6 gennaio 2021.
Un luogo altamente simbolico, ideale per una “requisitoria” dell’ex procuratrice californiana contro la minaccia democratica del tycoon, in modo da visualizzare il contrasto tra i due candidati e le loro visioni del Paese.
Da un lato “l’odio e le divisioni” alimentati da Trump, dall’altro “la gioia, la speranza, le opportunità per tutti”. “C’è una grande differenza tra lui e me”, ha detto Harris ai giornalisti in un’anteprima del suo discorso.
“Se lui venisse eletto, il primo giorno siederà nello Studio Ovale a lavorare sulla lista dei suoi nemici. Io invece lavorerò per conto del popolo americano alla mia lista di cose da fare”, ha detto, invitando a “girare pagina” perché “la gente è stanca di caos e divisioni”.
Per la vicepresidente si tratta del suo discorso forse più importante dopo la convention, i ‘closing arguments’ che suggellano l’ultima settimana di campagna elettorale. Una kermesse che vuole essere una risposta al bagno di folla del tycoon al Madison e che dovrebbe riverberarsi mediaticamente anche sugli swing states, dandole l’occasione di posizionarsi come esponente di una “nuova generazione di leader”.
Intanto negli Usa oltre 45 milioni di elettori hanno già espresso la loro preferenza col voto anticipato, quasi un terzo dei 158 milioni di americani andati alle urne nel 2020, mentre centinaia di contenitori per le schede dell’early voting sono state date alle fiamme a Portland, in Oregon, e nella città di Vancouver, nello Stato di Washington.
Sembrano i primi bagliori di possibili contestazioni elettorali che potrebbero durare settimane: come ha avvisato Steve Bannon, l’ex stratega della Casa Bianca di Trump che, appena uscito di galera per non aver testimoniato al Congresso sull’assalto al Capitol, si è messo subito a diffondere false teorie cospirative sul voto.
Un appuntamento su cui aleggia anche un segreto, quello evocato dal tycoon sul palco del Madison con lo speaker della Camera Mike Johnson: i dem temono che i due siano di nuovo in combutta per rubare le elezioni e impedire la certificazione dei risultati il 6 gennaio 2025, qualora vincesse Kamala.
ANSA